ENTRANCE, Wandering Stranger (Sketchbook, 2005)

Andando di scarnificazione in scarnificazione si arriva al “grado zero” in musica, quasi non esistesse nella sua cruda durezza e nella sua diretta incisività. Elettronica minimale? Avanguardia? Improvvisazione minimalista? Niente affatto, si tratta di blues. Da qualche anno infatti, si stanno riscoprendo le radici del cosiddetto “pre-war folk”, base della musica popolare americana e bacino di ispirazione di artisti contemporanei che fanno della immediata e nuda essenza acustica il loro stendardo ideologico.

Animal Collective, CocoRosie, Skygreen Leopards, Joanna Newsom, Devendra Banhart: autori diversi ma uniti da questa attitudine folky e vagamente psichedelica che forse non arriva a creare una vera e propria scena. Ma almeno aiuta ad identificare nuovi lavori che colpiscono questo immaginario con canzoni acide, una psichedelia ossessiva e una radicata tradizione che di “avant” non ha assolutamente niente. È in questa terra di confine che si muove Entrance, monicker dietro il quale si nasconde Guy Blakeslee, il quale si propone come punto di contatto tra Robert Johnson, Devendra Banhart e Syd Barrett. Le canzoni di “Wandering Stranger” infatti, propongono un blues acidulo e ridotto all’osso, con chitarre metalliche, slide stridule, violini acuti, cantato da una voce si interessata alla melodia nonostante le evidenti carenze tecniche (qualche stonatura di troppo che ci sentiamo di perdonare) e pregna di riferimenti al Delta come alle psichedeliche campagne inglese che hanno dato i natali al Cappellaio Matto dei Pink Floyd.

Nove brani al limite del fastidio: totalmente anti-armonici e senza nessun alone trendy, distante anni luce dalla canonicità ma non per questo così inusuale. Fascinoso e musicalmente coinvolgente nella sua indole anti-ruffiana, “Wandering Stranger” riesce a ritagliarsi un posto d’onore in quel mondo musicale cui abbiamo accennato in precedenza, e nonostante possa per certi versi sembrare una elaborata “rock’n’roll swindle” – ma qui si rischia di entrare in ambiti sociologici che lascio a qualche altro esegeta, visto che non mi sembra questo il posto per discuterne – ci prendiamo il beneficio del dubbio e la libertà di considerare Entrance come il semplice artefice di uno dei dischi blues più anacronisticamente affascinanti degli ultimi anni.

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