TETES DE BOIS, Pace e male (Il Manifesto, 2004)

Da un palco improvvisato sul retro di un camioncino a Campo de’ Fiori alle assi del palcoscenico del Premio Tenco: è stato lungo e insperato il cammino dei Tetes de Bois, in questi dieci anni di musica, ma le loro canzoni non dimenticano mai da dove sono venute, ora che spesso sono contesti più prestigiosi ad ospitarle.

L’amore per la strada, per le icone popolari e gli eroi minori (così evidente ne “La canzone del ciclista”) si unisce a una dimensione più ampia, dove il privato si mescola al politico (come in “Abbasso Nixon”, dove si intrecciano ricordi adolescenti e cori di protesta), il sarcasmo di un ritratto corrosivo come quello del qualunquista “Dott. De Rossi” convive fianco a fianco con la poesia più alta dei maestri come Dino Campana, Léo Ferrè, Fabrizio De Andrè e i poeti maledetti francesi.

“Pace e male”, quarto disco della band romana, potrebbe sembrare un’accozzaglia senza capo né coda di mondi diversi, ma non lo è; perde le fila del discorso solamente quando le atmosfere si avvicinano al rock con più decisione rispetto al passato (accade in “Abbasso Nixon”, con quelle chitarre sopra le righe, o nel passo divertito – complice Paolo Rossi – ma un po’ troppo alla Max Gazzè di “Io sono allegro”, o ancora nella drammaticità insistita di “Ce l’ho con l’amore”), ma è capace di momenti bellissimi, soprattutto quando lo sguardo si rivolge agli ispiratori e agli amici di sempre.

Così, dopo una prima parte interlocutoria e difficilmente assimilabile, l’arrivo di Daniele Silvestri nella placida serenità de “Le rane” porta un’aria nuova, e da quel momento in poi non ci si vorrebbe più staccare dai particolari preziosi di queste canzoni: la tromba che sigilla “Pezzi di cielo”, la chitarra acustica che accompagna le parole di Dino Campana (“Ondulava”), il violino di Mauro Pagani che sembra quasi piangere le parole di Baudelaire (“La serva dal gran cuore”), “Amore che vieni, amore che vai” di De Andrè trasformata in un tango sensuale e indolente, quella “Vomito” che ricorda certe sbronze estive – l’aria leggera e perfetta – poco prima della soglia Bukowski…

Un disco prezioso, a cui il secondo CD, fatto di bozzetti e istantanee dal vivo (ma che meraviglia, quella “Il battello ubriaco”…), non aggiunge molto: tra chanson française, jazz e la più nobile tradizione cantautorale, tra impegno e divertimento, serietà e rilassatezza, “Pace e male” è un disco a cui concedere tempo e ascolti attenti: saprà ripagare.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *