CALIFONE, Heron King Blues (Thrill Jokey, 2004)

Ecco come si diventa una figura di culto. Incidete un disco che sembra finalmente portare la vostra carriera in primo piano, almeno nell’ambito della musica indipendente, e a quel punto uscite con un lavoro che cambia improvvisamente direzione.

Tim Rutili ha fatto più o meno questo con “Heron King Blues”, seguito di quel “QuickSand / Cradlenakes” che rappresenta con tutta probabilità il migliore disco pubblicato dai suoi Califone. “Heroin King Blues” non è un brutto disco, questo è vero. E’ un lavoro pieno di coraggio e voglia di rischiare, ma è anche il lato più scontroso mostrato finora dai Califone, troppo ostico perché riesca a conquistarsi qualche nuovo estimatore.

Perché se è vero che inizia con una canzone capace di incantarti con il suo sapore di polvere e radici folk, la splendida “Wingbone”, già dopo pochi minuti, alla traccia numero tre, fa capire come andranno le cose nel resto del disco. “Sawtooth Sung a Cheater’s Song” inizia come una ballata di folk aspro e nel finale viene via via sfilacciata. Il seguito sembra procedere verso atmosfere scure, tra frammenti di soul stravolto e blues, resi affilati. Un lungo viaggio ipnotico lontano da qualunque concessione. Brani che si trasformano in mantra senza via d’uscita, accompagnati da una sezione ritmica degna di Tom Waits, “Apple” e “Tiny Bird”, dove affiorano inaspettate influenze soul.

Certo Rutili sfodera almeno un’altra ballata intensa, “Lion & Bee”, ma la scorza di “Heron King Blues” è dura. “2 Sisters Drunk on Each Other” con una ritmica spezzata, è un esperimento funky che prova senza riuscirci ad emulare gli Afghan Whigs. E a dare il taglio definitivo al disco, ecco i quindici minuti di “Heron King Blues”, blues come dice il titolo, ma fatto a pezzi e rimesso insieme in qualche modo, un quarto d’ora di musica scurissima, chitarre, una voce appena percettibile e suoni di sottofondo che si rincorrono in un intrico impenetrabile. Come se tutto questo non bastasse, i Califone mettono in chiusura della loro ultima fatica “Outro”, uno strumentale che nei suoi tre minuti riesce soltanto ad abbozzare l’ombra di una melodia.

Viene da chiedersi che cosa abbia spinto Rutili e i Califone ad incidere un disco del genere. La risposta sta forse nella carriera di Rutili, percorsa preoccupandosi soltanto della propria ispirazione, correndo i rischi che deve correre. Magari con il pericolo di incidere album come “Heroin King Blues”, che ti lasciano spiazzato a chiederti cosa aspettarsi adesso dai Califone.

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