SUMAC, “May You Be Held” (Thrill Jockey, 2020)

Ritorna con la solita “prepotenza” uno dei gruppi più tosti in circolazione. Si tratta dei SUMAC di Aaron Turner (Isis, Old Man Gloom, Mamiffer), Nick Yacyshyn (Baptists) e Brian Cook (Russian Circles, These Arms Are Snakes), trio che non ha sicuramente bisogno di presentazioni e che la Thrill Jockey ha voluto adottare sin dal loro debutto. Va detto che a parte che essere degli specialisti per quello che riguarda lo sludge, il gruppo ha dimostrato finora di sapersi spingere al di là di determinati confini, lo ha già fatto con il precedente LP “Love In The Shadow” del 2018 oppure le collaborazioni con Keiji Haino, quindi mi sono avvicinato anche a questo disco con una certa curiosità, che però è stata in buona parte disillusa.

Sicuramente “May You Be Held” (registrato e prodotto con la collaborazione di due nomi noti agli estimatori del genere, Kurt Ballou e Matt Bayles) è un disco molto più solido, direi monolitico, rispetto ai suoi predecessori. Mancano le performance artistiche tipiche di Keiji Haino e anche una certa vena sperimentale sembra venire meno per lasciare lo spazio a un tipo di suoni più primitivi e che si tramutano nella realizzazione di un disco che ha un impianto abbastanza stabile. Più che un carattere rituale, del resto, dopo quella che è una specie di “invocazione” (la intro strumentale “A Prayer For Your Path”) il trio dissotterra direttamente l’ascia di guerra e con la title-track si scaglia furiosamente sul nemico brandendo le armi con una session di venti minuti caratterizzata da urla furiose, distorsioni sparate a palla su un solido impianto drone sostenuto da una ritmica vigorose e particolarmente potente.

Il disco è costruito sostanzialmente su questa traccia e su “Consumed” (fa da tramite ideale “The Iron Chair”, una serie di sferragliate elettriche noise) che probabilmente è un pezzo meglio riuscito perché riesce meglio a rendere il carattere anche nevrotico del sound SUMAC. Conclude poi un’altra traccia strumentale (“Laughter and Silence”) che chiuderebbe idealmente il disco. Un album in verità nato in maniera quasi istantanea e costruito come detto sulla title-track e “Consumed”, due pezzi che pure allienandosi a uno stesso “genere”, sembrano spezzare tra di loro. Non ci sono particolari spinte innovative in questo album, ma pure se ci fossero, tutto appare slegato e con un risultato alla fine per lo più deludente. Certo nel mio caso il giudizio potrebbe essere condizionato dal non amare troppo quelle che appaiono solo come spacconate, ma se pesiamo il mio parere positivo al resto della produzione, li rinvio al prossimo lavoro senza nessuna nota particolare di biasimo e con una certa fiducia. A questo giro potete pure passare.

55/100

(Emiliano D’Aniello)