SIX-FING THING, Self-Portrait As A Venerable Shrub (Dogfingers Recordings, 2003)

Installazione musicale. Questa potrebbe essere una prima definizione dell’album dell’artista visuale e polistumentista texano James Cobb, celato dietro un misterioso alter-ego dal nome decisamente alieno, una sfuggente “Entità a sei dita”. Ma, forse, più suggestivamente, si potrebbe parlare di una reinterpretazione di suoni e stili del XX secolo operata da extraterrestri. Osando infine un po’ di più, un po’ troppo forse – e ipotizzando un parallelismo fra il nostro e altri mondi eventuali – si potrebbe pensare non ad una “interpretazione di”, bensì ad una “equivalenza con”.

Bene, immaginate una band marziana bradburiana (ignorando sonde e sondine spione che ci rovinano tutti i misteri…) che, nel giro di una settantina scarsa di minuti, ripercorra un po’ di pop, di improvvisazione jazz, di soundtrack, di musica colta del Novecento e persino di country-folk (davvero sorpendente la conclusiva “Wisdom Returns”, accompagnata dal banjo): e tutto questo con modalità assolutamente unitaria, tanto che risulta davvero difficile individuare un rapporto uno a uno fra stili e brani.

Immaginate un suono dei fiati (sassofoni, clarinetto, flauti, zampogna, xaphoon – una sorta di incrocio fra flauto e sax, in bamboo) pastoso ed etereo insieme – come se suonassero in atmosfera più rarefatta –, un uso per lo più impressionistico dei sintetizzatori (ma non manca qualche tratto più marcatamente sinfonico), effetti “taglia-incolla”, un po’ di looping e programmazione, pianoforte suonato molto classicamente, voci che seguono regole armoniche straniere.

Quando ci sembra di aver afferrato esattamente il significato di un pezzo, veniamo subito smentiti, e ci accorgiamo che ciò che pareva tondo non è poi così tondo, che quell’angolo è in realtà smussato, che la linea retta ha in realtà delle gobbe e via dicendo. Inizialmente il terreno scivola sotto i piedi e la testa gira, poi, piano piano, ci si abitua e si acquista stabilità, la respirazione si regolarizza.

Resta da stabilire se i marziani (collaborano con Cobb: James Sidlo, Gabe Herrera, Johnny Rodriguez, Russel Hoke, Forrest Cobb, Bobdog Catlin) siano in carne ed ossa o se i nostri sensi vengano colpiti dal persistere nell’aria delle vestigia musicali di un’estinta cviltà.

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