MARLENE KUNTZ, Senza peso (Virgin, 2003)

Erano in molti a pretendere tanto da questo “Senza peso”, e le premesse c’erano davvero tutte: la registrazione dell’album nei Tritonus Studio di Kreuzberg, Berlino (una città a cui il loro nome li ha sempre legati); i produttori stranieri e di culto (Rob Ellis e Head, fiancheggiatori di PJ Harvey fin dagli esordi); la necessità di riscatto da una prova opaca come “Che cosa vedi”. Troppe aspettative, e questo disco non fa che deluderle.

In pochi avrebbero immaginato i cambiamenti che “Senza peso” propone: c’è una maggiore apertura alla forma-canzone più classica; i testi perdono il loro abituale ermetismo e scelgono di comunicare per immagini nette e riconoscibili. Le chitarre – pur rimanendo assolutamente centrali nell’economia del suono del quartetto – sanno farsi da parte, a favore di pianoforte, del glockenspiel, persino dello splendido e poetico violino di Warren Ellis. La voce di Godano rinuncia alla visceralità per mostrarsi sempre più duttile (si ascolti la linea sottile che le parole disegnano in “Schiele, lei, me”, non a caso uno dei momenti migliori).

Cosa c’è che non va, allora? C’è che i Marlene sono irriconoscibili, nel bene e nel male. Nel bene, quando scelgono le forme poetiche della ballata, e le loro canzoni diventano estatiche e fascinose contemplazioni di attimi (“Danza”, la già citata “Schiele, lei, me”, ma anche e soprattutto “Ricordo”, resa gemma preziosa dal violino di Ellis). Nel male, quando la band tenta di aumentare il ritmo e l’impatto sonoro, e finisce per creare canzoni che svaniscono immediatamente al confronto con l’irruenza, la passionalità e la foga di certi episodi di “Catartica” o de “Il vile”: brani come “Sacrosanta verità” (attacco frontale nei confronti di chi “non capisce ciò che fin qui è stato detto”) e “L’uscita di scena” sono sì potenti, ma non coinvolgono, sembrano urticanti esercizi di stile piuttosto che gli sfoghi urgenti che vorrebbero essere.

Solo “Ci siamo amati” fa ricordare chi erano i Marlene cattivi e fragorosi che abbiamo amato, ma è troppo poco, e da una band come questa è lecito pretendere qualcosa di più di un disco con qualche buon momento, ma troppo indeciso sulla direzione da prendere.

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