KECH, Are You Safe? (Ouzel / Audioglobe, 2003)

Immaginate un pranzo di quindici, pesantissime e stomachevoli portate. Senza che vi venga servito un solo goccio d’acqua. Improvvisamente qualcuno vi passa, sottobanco, un bicchiere di vino bianco. Frizzante, appena uscito dalla cantina della casa. È freschissimo, e vi rimette in pace col mondo.

Cosa c’entra questa metafora eno – gastronomica con il disco dei Kech? L’attinenza c’è, eccome: ascoltare questo “Are you safe?” è proprio come bere un bicchiere di vino dopo un pranzo pesantissimo; è, in altre parole, una necessaria boccata di ossigeno e rumore dopo tonnellate di dischi pretenziosi e introflessi, pieni di tormenti preconfezionati.

Dieci canzoni, trentuno minuti, un’abilità di costruire deliziosi muri di rumore tenendo in primo piano la melodia che è propria di pochissimi gruppi: vengono in mente le Breeders (un pezzo come “Feet bleed” potrebbe diventare un vero e proprio hit sotterraneo, proprio come lo fu “Cannonball”), le Sleater Kinney nel modo in cui si fondono voce e chitarre l’istinto melodico delle Elastica, perfino certe storture ultra-radiofoniche dell’album omonimo dei Blur.

Un piccolo bignami di rumorismo pop, che dà il meglio di sé fin dal principio: “A lovely place” si fa guidare da una voce femminile, che man mano scivola perfettamente sulle chitarre graffianti e su una ritmica forsennata; ancora meglio della già citata “Feet bleed” fa “On hold”, basso rotondo ed essenziale a sostenere la zuffa allegra e sibilante delle sei corde. Insomma, a parte i rari momenti dove la corsa rallenta (“Details”) e dove la melodia prende il sopravvento, si rischia di zompare per la stanza come invasati, ascoltando queste dieci tracce.

Una boccata d’aria fresca, ma questo l’ho già detto.
Non si tratta di inventare qualcosa, per i Kech: questi ragazzi sanno bene di fare qualcosa di già sentito, ma hanno tutta l’aria di divertirsi un mondo, e finiscono inevitabilmente per divertire anche noi.

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