PAVEMENT, Brighten The Corners (Matador, 1997)

Ogni disco dei Pavement segna un piccolo cambio di rotta rispetto al precedente. In “Brighten the Corners” questa sterzata risulta soltanto più evidente. Non a caso è il primo disco in cui i Pavement si rivolgono ad un produttore esterno e non a caso scelgono Mitch Easter noto per avere lavorato sui primi due dischi dei R.E.M.. Il risultato è, come ci si potrebbe aspettare, un album che sposta in modo deciso l’attenzione sulle canzoni.

I dodici brani che costituiscono “Brighten the Corners” mostrano più concisione e sobrietà, come avvolti in un’atmosfera di leggerezza e semplicità. I suoni si fanno più asciutti e si avverte uno stacco netto rispetto ai continui cambi di rotta di “Wowee Zowee”, tanto che i punti di riferimento più prossimi paiono i Velvet Underground lievi del terzo disco e appunto i primi lavori dei R.E.M.. Tuttavia, anche con questi cambiamenti, il marchio dei Pavement resta inconfondibile su ogni singola traccia del disco, il loro approccio sghembo e ironico alla musica rimane intatto. Così ecco che una ballata quasi fatata, “Tansport is Arrenged”, giusto a metà sembra prendere un’altra direzione e incamminarsi lungo un intermezzo chitarristico, salvo poi ritrovare la direzione smarrita.

Non mancano del resto i consueti strappi, come “Stereo”, con la sua andatura sbilenca e quell’aria pop irresistibile, o come una delizia di impasti vocali intitolata “We Are UnderUsed”. O ancora come “Embassy Row” che inizia come una filastrocca e si tramuta in una sfuriata che sa tanto di new wave.

Affiora però rispetto al passato un tono più raccolto, in qualche caso più malinconico. In una ballata deliziosa dalle tinte tenui come “Type Slowly” i Pavement mostrano un vena misurata finora nascosta. Lo stesso clima che si avverte in “Tansport is Arrenged”, nell’incedere lento di “Fin” o in quelle alternanze tra silenzio e musica di “Starlings on the Slipstream”.

E poi arrivano quelle canzoni che difficilmente si cancellano dalla memoria. La deliziosa linea melodica di “Shady Lane”, i suoi cambi di ritmo e quella sottile vena di follia che corre lungo i suoi quattro minuti, l’assalto di armonie di “Date with Ikea”, tra Big Star e Guided By Voices.

Insomma nel quarto disco i Pavement smorzano gli angoli e le asperità e mettono in luce grandi canzoni.

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