LAURA VEIRS, Troubled By The Fire (Bella Union / Wide, 2003)

Se avete avuto il buon gusto – o la fortuna – di ascoltare “Daybreaker”, l’ultima fatica di Beth Orton, vi ricorderete senz’altro di “God song”, una delle perle di quel disco: una grande canzone, cantata da Beth assieme a Emmylou Harris, in equilibrio magico tra folk e il country meno schematico; a quella canzone, e a quelle atmosfere, rimandano i momenti migliori di “Troubled by the fire”, primo disco di Laura Veirs dopo un paio di autoproduzioni.

L’iniziale “Lost at Seaflower Cove” e la malinconia disegnata dal violoncello in “Songs my friend taught me” sono indicazioni precise del talento della cantautrice di Seattle, che però non riesce a ripetersi agli stessi livelli nel resto del disco. Diciamolo chiaramente: Laura Veirs non è né Beth Orton né Emmylou Harris, né una novella Michelle Shocked, e si sente; va bene ispirarsi a Woody Guthrie, va bene puntare su una vocalità limpida, ma “Troubled by the fire” è un disco che si fa ascoltare senza dare scosse, senza dare brividi, ancorato ad un’idea ben precisa di country music, senza il benché minimo tentativo di dare qualcosa di personale (ascoltate lo strumentale “Tom Skookum road” e sappiatemi dire…).

Un album che non è certo malvagio, ma che è piuttosto insipido, anche quando tenta di deviare: una canzone come “Cannon fodder” nelle mani di una Kristin Hersh avrebbe fatto faville, mentre qui è solo un mediocre tentativo di creare una parentesi indie rock in trame acustiche piuttosto ripetitive. Non tutto è da buttare, nel disco si avverte una buona sensibilità melodica e certi arrangiamenti sono tutt’altro che disprezzabili (la banda che conclude “Devil’s hootenanny”, l’hammond che decora l’altrimenti banale “Midnight singer”), ma in fin dei conti è un po’ poco per rendere “Troubled by the fire” un disco da avere assolutamente.

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