BAUSTELLE, La moda del lento (BMG, 2003)

Si apre su poche note aggraziate di un pianoforte, il secondo album dei toscani Baustelle, e da subito l’incanto del loro esordio si ripete: le voci di Francesco e Rachele si intrecciano, voluttuose e distaccate, e fluttuano su atmosfere deliziosamente retrò, le “mille mode chansonnier” già cantate ne “Il sussidiario illustrato della giovinezza” si allargano a un maggior uso dell’elettronica, omaggiando quarant’anni del miglior pop.

Descritto così, probabilmente questo gruppo sembrerà l’ennesima copia di qualche band del passato, la milionesima bufala senza uno straccio di idea propria, ma non è così, perché i Baustelle sono qualcosa di unico, e riescono ad essere originali pur rimanendo sempre rivolti al passato.

Non c’è una canzone uguale all’altra, ne “La moda del lento”, ma allo stesso tempo la cifra stilistica del quartetto è sempre evidente: ci vuole talento, per fare cose del genere, per alternare ballate pianistiche a scanzonate filastrocche elettro – pop, torbidi momenti quasi dark (“Il seno”) alla maliziosa sensualità di quella “Mademoiselle boyfriend” screziata da disturbi elettronici, ma retta solo da una chitarra acustica e dalle due voci.

Un’aria sottilmente peccaminosa percorre tutto il disco: i testi parlano di adolescenza, di ragazzini che studiano da duri (“La canzone di Alain Delon”, stupenda nel suo incedere anni ’60 e nell’inserto di fiati), di ormoni impazziti, di prime volte (“Love affair”, un quadro perfetto dei sedici anni… e a chi non viene in mente la propria ragazza di allora, ascoltando questa canzone, si vergogni!); tutto è descritto con una naturalezza impressionante, che risalta ancora di più grazie alla naturale eleganza delle voci.

Un disco fresco e leggero, dunque? Forse no, perché andando a leggere tra le righe l’atmosfera si fa più malinconica, si scorgono tracce di una sofferenza ben nascosta (“La solitudine è stile di vita per me” recita “Bouquet”, oppure la fine di una storia dipinta perfettamente in “Arrivederci”).

Un album che cresce e si rivela ad ogni ascolto, dunque, e nonostante verso la fine il disco si perda per strada (la tentazione di passare alla traccia successiva ogni volta che parte “Reclame”, provocatoria sì, ma anche kitsch come il peggior new romantic sa essere), “La moda del lento” è una delle cose migliori uscite in Italia quest’anno, e non vedo proprio perché dovreste rinunciare ad ascoltarlo… a patto che le parole retrò e pop per voi non siano autentici insulti.

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