ONEIDA, Come on Everybody Let’s Rock (Jagjaguwar, 2000)

“Come On Everybody Let’s Rock”, secondo episodio ad uscire per la Jugjaguwar (e ad appena una settimana di distanza dall’EP “Steel Rod”) inizia a mostrare in pieno il vero volto degli Oneida: viene portato all’eccesso il lato ossessivo dei suoni, i riverberi acquistano una maturità e una consapevolezza fino ad allora parzialmente incompiuta, si gioca definitivamente sulla sottile linea che divide la follia dall’autoironia (come nel brano di apertura “I Love Rock”, dove i muri di suono innalzati cozzano con una voce deframmentata e stirata).

Ma soprattutto in questo lavoro gli Oneida si mettono a giocare con un elemento fino ad allora completamente snobbato: il puro e semplice rock and roll. Ne è dimostrazione palese il riff e l’incedere giocoso di “Major Havoc”, che se da un lato ricorda – anche nell’uso della voce – alcuni lavori di Smog e di Jim O’Rourke, dall’altro deriva direttamente dagli anni ’60, memoria del ludico, senza necessità di alcun orpello aggiuntivo. Ancora l’immediatezza del suono rock a farla da padrona in “Pure Light Invasion”, che tra l’altro include nel testo la frase del titolo, che racchiude genialmente in sé l’intera anima del disco.

Schegge di sfrenato garage rock nell’ottima “Legion of Scabs”, che sembra arrivare direttamente dalla Chicago delle White Panthers e degli MC5, un acido riff hard-rock conduce in porto “Do in Business in Japan”, mentre in “Snow Machine” torna a farsi sentire l’urgenza new wave che aveva caratterizzato gli album precedenti, con rimandi ai Jesus and Mary Chain, e una stasi elettronica che mescola coretti anni ’60 a citazioni dei Suicide. “Slip Inside this House” è un sentito omaggio al genio di Rocky Erickson, leader dei 13th Floor Elevator (il brano originale era presente in “Easter Everywhere”, album del 1967), già ripreso nel 1991 dai Primal Scream di “Screamadelica” – ma in maniera meno convincente -; dopo il r’n’r, la new wave, il garage rock e l’hard rock, la band si confronta con una delle icone della psichedelia anni ’60. Molto intelligente la fusione tra voce e musica in “Power Animals”, un perfetto brano hard rock nella conclusiva “Fat Bobby’s Black Thumb”, dimostrazione della varietà di stili che i quattro sanno gestire e dominare.

Un album per certi versi addirittura sorprendente, divertito e compatto, che mette in luce un aspetto fino ad ora non completamente svelato: gli Oneida, band capace di essere allo stesso tempo totalmente derivativa e totalmente innovativa, sono i migliori compositori di riff da anni a questa parte.

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