CRISTINA DONA’, Dove sei tu (Mescal/Sony, 2003)

“Ho riempito d’oro il giardino/ perché tu vedessi/ chiaramente dov’è il cammino/ e/ quanti sono i passi”: è così che Cristina Donà sussurra all’ascoltatore l’elegante invito ad entrare nel suo mondo, e a scoprire le sue nuove creature.

Ammaliati, è impossibile resistere, ma il primo impatto con “Dove sei tu” disorienta, stordisce, quasi come se fossimo entrati veramente in un giardino pieno di fiori così belli e diversi tra loro, da non sapere quale ammirare per primo; ma é solo un istante, e perdersi tra le canzoni di questo disco diventa un piacere irrinunciabile.

“Nel mio giardino” ci culla con i suoni morbidi di un quartetto d’archi e di una tromba, mentre “Invisibile” ci scuote con i saliscendi continui dell’elettrica, degli archi e di una voce che su disco non è mai stata così potente, così ricca di fremiti e vibrazioni, mentre le parole disegnano immagini nette di non-azioni, di una persona bloccata nel suo silenzio.

“In fondo al mare” è uno stupendo momento di contemplazione, di serenità: “in fondo al mare nuotano i miei sogni, pronti per risalire. Si aprono nell’acqua come fiori e in un istante vanno verso il cielo”. Tre grandi canzoni, ma le sorprese vere iniziano solo ora: “Triathlon” è poco più di un esperimento, che inizia ricordando le destrutturazioni dei Radiohead di “Amnesiac” e finisce per somigliare a un techno-rock di marca Subsonica (che, non a caso, remixano il pezzo aggiungendo la voce di Samuel); “The Truman show” riannoda nuovamente i fili con un certo rock diretto e abrasivo molto pjharveyiano, mentre l’incantevole title- track lambisce il jazz, e regala nuovi brividi.

Le sorprese non sono ancora finite, però: “Il mondo” è un imprevedibile intreccio di voci raddoppiate, di una fisarmonica e di percussioni lasciate libere di vagare; “L’uomo che non parla” contrappone un testo serioso all’autoironia del coro che la conclude; “Give it back (to me)”, il primo esperimento con l’inglese, ed è un blues energico, accorato, dilagante in un finale esplosivo che coincide col miglior momento di tutto il disco; “Salti nell’aria” è la tenerissima dedica a Milly, la figlia di Davey Ray Moor dei Cousteau (qui produttore artistico), con la voce di Cristina a danzare intorno alla culla lieve come mille farfalle, su note che sembrano prese da un musical scritto dagli Sugarcubes; “Un giorno perfetto” è la chiusura pacificata e rasserenante di un disco vario ma non dispersivo, dominato da una voce mai così duttile e al contempo reso prezioso dall’apporto di musicisti bravissimi, finalmente aperto alla melodia pur lasciando sempre più spazio alle chitarre. In altre parole, un disco splendido. E imperdibile.

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