CARMEN CONSOLI, L’eccezione (Universal, 2002)

Di fronte agli universali cori di lodi riservati al quinto disco in studio di Carmen Consoli, “L’eccezione”, si sarebbe quasi tentati di parlarne male, rispolverando un certo gusto da alternativo intransigente per lo sparare a zero su un’artista di successo; il problema è che, davanti a queste dodici canzoni, trovare un appiglio per qualche critica è davvero molto, molto complicato.

Di fronte ai riconoscimenti piovuti da ogni parte per “Stato di necessità” (quello sì, pretenzioso e malriuscito), Carmen ha avuto l’umiltà necessaria per sfuggire alle lusinghe e per concentrarsi sulla musica, ampliando notevolmente la gamma dei suoi ascolti e dedicandosi alla ricerca di soluzioni per lei inedite.

È così che nasce “L’eccezione”, da un profondo amore per la musica, sia questa la canzone d’autore degli anni ’60 o le soffici armonie dei Tropicalisti, sia il jazz che l’indie rock: tutte influenze che vivono fianco a fianco nei quadretti intimi di questo disco, generando un risultato d’insieme magicamente omogeneo e personale.

“L’eccezione” faticherà a farsi amare da subito da chi, come me, è ancora innamorato del rock emozionale di “Confusa e felice” e dei nervi scoperti di “Mediamente isterica”, ma crescerà inesorabile ascolto dopo ascolto: impossibile non lasciarsi coinvolgere dal tenue acquerello di “Pioggia d’aprile”, dalle storie tragicomiche siciliane raccontate con ironia in “Fiori d’arancio” e in “Masino” (peccato solo che Carmen rovini la musicalità del dialetto con un’odiosa voce distorta), dalla raffinatezza della title-track, piacevole tormentone radiofonico, e della struggente “Moderato in re minore”.

Sia chiaro: chi non ha mai sopportato la cantante siciliana e la sua inflessione vocale inconfondibile non cambierà idea dopo aver ascoltato “L’eccezione”, ma questo non toglie che il disco contenga alcune delle più belle canzoni mai uscite dalla penna di Carmen Consoli. Solo “Matilde odiava i gatti” appare come una concessione all’antica furia, ma la sensualità disillusa del clarinetto che sigilla “Mulini a vento” e la malinconica bossanova di “Uva acerba” (un addio, una foto in bianco e nero, un rimpianto: “Troverai qualcun’altra a cui chiedere/ “Portami vicino al mare” “) sanno emozionare e commuovere come poche altre cose ascoltate quest’anno, così come lo splendido strumentale jazzato che chiude l’album.

Gran disco, forse il migliore della carriera di Carmen. Speriamo solo che il successo, sempre più grande (e, va detto, meritato), non si mangi il suo talento…

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