TOM WAITS, Blood Money (Anti, 2002)

Due albums del vecchio Tom in un colpo solo…roba da avere un attacco di ansia nel momento fatale di decidere con quale cominciare. Come da regolamento mi sono affidato al giudizio inappellabile del testa o croce, ed in omaggio alla strumentazione vintage del californiano ho usato una moneta da 100 lire del 1969. Come avrete intuito il sorteggio ha privilegiato “Blood money”: d’ora in avanti, per me, esso sarà sempre il fratello maggiore e “Alice” la sorellina più piccola.

Lasciando perdere queste distinzioni più psichiatriche che psicologiche, vorrei da subito esortare a non mancare all’ascolto di queste nuove creazioni del rauco crooner. Sensibilmente diversi come concezione e tempi di ideazione, essi sono uniti tra loro da una bellezza e passionalità fuori dal comune.

Trattando in questo caso “Blood money”, proviamo ad estrapolarne i molti momenti memorabili, evidenziando in primis la sua fonte di ispirazione nel “Woyzeck” dello scrittore tedesco dell’Ottocento George Buchner, da cui peraltro il grande compositore austriaco Alban Berg si nutrì per costruire il suo inarrivabile capolavoro musical-teatrale, il “Wozzeck” appunto. Anche qui, dunque, la sorgente mitteleuropea continua ad abbeverare la fantasia di Waits, ed i grandi numi tutelari del teatro del ‘900 tedesco (Brecht e Weill) fungono da colonne portanti dell’opera, continuando un discorso cominciato nel lontano 1983 dal clamoroso “Swordfishtrombones”. Il cantautore usa una strumentazione come sempre “originale”: organi a pompa, marimbe, corni francesi, percussioni a dir poco “strane”. L’effetto grammofono è assicurato e per di più la voce roca e gracchiante di Tom aumenta questo effetto straniante ed affascinante.

In questo impianto da Angelo Azzurro sono però ben presenti le radici americane dell’autore, blues sporco di frontiera e ballate “all’ultimo whiskey” tipiche del suo primo repertorio. Ecco, forse il fatto più importante in “Blood money” sembra questo piccolo ed importante ritorno di melodie ai confini del nightclubjazz alla “Closing time”: “All the world is green” è probabilmente il contenitore perfetto della storia musicale di Tom e fatalmente diventa uno dei pezzi più belli dell’intero repertorio.

L’Uomo di Pomona ha creato negli anni un suono unico e riconoscibilissimo, dal quale gli sarà assai difficile staccarsi. D’altra parte, se esiste un mainstream poco scontato e banale, questo è il suo. Se poi questo suo stile è così ancora riccamente innervato dalla Dea Ispirazione, è chiaro che il povero e frastornato ascoltatore del 2002 vorrebbe un Waits al mese. Nel frattempo comunque “accontentiamoci” di ascoltare e riascoltare “Blood money”, partendo dall’abrasivo e corrusco blues di “Misery is the river of the world”, passando dalla triste e cinematica “Coney Island baby”, finendo con la strepitosa “A good man is hard to find”, dove Tom si fa possedere dal fantasma di un certo Satchmo, raggiungendo vette interpretative ineguagliabili e lasciando quella sempre più rara voglia di ricominciare daccapo. So, play it again Tom…

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