P.G.R., Per Grazia Ricevuta (Universal, 2002)

Giovanni Lindo Ferretti è rimasto uno dei pochi, stimabili, cantori del quarto, quinto e sesto mondo. E’ rimasto uno dei pochi amanti della terra, nel senso più materiale del termine, della terra e delle culture che la popolano. I CCCP (1978/1990) cantavano le gesta miracolose dell’impero sovietico e delle civiltà che lottavano contro l’occidente (la Libia di Gheddafi, la Palestina di Arafat e dell’Intifada), i CSI (1992/2000) esaltavano la filosofia contadina, il lento incedere dell’Ongii in Mongolia, i casolari abbandonati al vento in Normandia, i Per Grazia Ricevuta (2001/?) portano a termine un album d’esordio nel quale trovano spazio l’India, l’Africa, la Giamaica e tutti quei popoli che esistono nelle nostre menti più che altro come senso di colpa della nostra immeritata onnipotenza mondiale.

Al di là della spasmodica attesa, l’ascolto non riserba novità: chi ben conosce l’evoluzione musicale dei gruppi citati in precedenza, sa già cosa aspettarsi da questo lavoro. Toni sommessi, grande spazio alle tastiere sapienti di Francesco Magnelli, una musica che cerca di fondere il ritmo tribale all’elettronica più densa e dilatata. La solita filosofia di vita di Ferretti arriva chiara e netta dai testi (“Non sempre so dire chi e perché, ma cosa pretendete da un tipo come me?”), così come arriva un’ironia sottile e un senso del gioco che rimandano più che altro all’esperienza CCCP, con moltissimi luoghi comuni gettati in pasto all’uditorio.

Quasi tutte le canzoni pretendono un ascolto attento, competente e “maturo”, complesse suite dove le voci di Ferretti e Ginevra Di Marco si intrecciano, aggiungendo una qualità laicamente mistica all’intera opera. Di tutti i brani, solo la divertente e leggera “Settanta” – presente anche nella colonna sonora di “Paz!” – ha il dono dell’immediatezza, con una strofa ironica e geniale e un ritornello orecchiabile (“Canta la gallina, canta il gallo, ecco Mussolini che monta a cavallo, canta il gallo, canta la gallina, sicuro che a ogni notte segue una mattina?”). Gli altri devono essere ricercati più in profondità, come lo splendido omaggio al Gange che si muta in omaggio al jazz di Miles Davis e John Coltrane, o come il “Tramonto d’Africa” che fa intravedere le rive dell’America e da dove giunge il “Rastaman Vibration” di Bob Marley. O come la conclusiva ninnananna dedicata all’11 settembre del 2001, scandita da poche parole, d’impatto e delicate (“Chi sale dice a chi scende le scale: attenti, così vi fate male”, “Io sono un poliziotto, non mi faccio amare”, “Non tutti siamo fatti per scendere e salire le scale”), dove si narrano impressioni generate da quell’amara giornata, ma nella quale non trova spazio la tragedia americana – come altri artisti hanno evocato – che ha poi portato all’infame barbarie in Afganistan, ma il semplice destino di un pompiere.

Un mondo fatto di piccoli oggetti e di sensazioni semplici, quello che i Per Grazia Ricevuta mostrano. Non diversamente e non meglio di come facevano i CSI (ma dov’è Massimo Zamboni?), ma con la medesima forza e convinzione. E classe.

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