CRISTIANO DE ANDRE’, Scaramante (Target Music, 2001)

Chi è attento al panorama cantautoriale italiano si sarà accorto che il nuovo disco di Cristiano De André esce a più di qualche anno dal precedente “Sul Confine”. Cristiano apre di nuovo le porte del suo mondo, con lo stile già apprezzato nei suoi precedenti lavori, ma con maggiore determinazione e profondità. Un mondo ricco di buoni aromi, fortemente intriso di umanità e di saggezza, in cui il pensiero veleggia come un brivido irrequieto su panorami mediterranei senza tempo.

Gli arrangiamenti sono a modo loro magistrali, migliorati rispetto alle precedenti produzioni, perfetti e semplici equilibri tra tradizione etnica (come ad esempio in “Sempre Anà”, “Un’Antica Canzone”, e nell’ottima apertura “Buona Speranza”) e moderno pop di classe, all’occorrenza anche leggero (“Lady Barcollando”, “Fragile Scusa”, “Le Quaranta Carte”). Sono arrangiamenti che seminano nell’orecchio dell’ascoltatore, il quale dopo qualche ascolto li sente germogliare e maturare dentro di sé, senza invadenze. I testi raccontano impressioni e frammenti di storie, esprimendo un pensiero acuto e delicato, sguardo sempre positivo che sfuma appena nella malinconia. Le canzoni di “Scaramante” sono tutte di alto livello, e c’è anche spazio per qualche divertimento come nella irriverente “Sei Arrivata”, quasi cabarettistica (anche se dal testo piuttosto criptico), o in “La Diligenza”, commistione di etnicismi sudeuropei e rap nero d’America. In chiusura, “Il Silenzio E La Luce”, poesia di gran classe affidata a voce e pianoforte.

Ammettiamo che sia comunque inevitabile fare paragoni con il padre, anche perché Cristiano non si vergogna di citarlo (in “Lady Barcollando”), e talvolta persino di seguirne le orme come in “Sempre Anà”, bella canzone dal testo parzialmente dialettale scritta a quattro mani con quel Mauro Pagani, collaboratore stretto di Fabrizio su celebri territori etnici. E poi la voce di Cristiano – alla genetica non si sfugge – ricorda spesso da vicino la figura gigantesca del padre, che andandosene due anni fa ci ha attorcigliato le budella facendoci gradualmente capire, sempre più chiaramente, quanto sia smisurata e generosa l’eredità che ci ha lasciato. Ma Cristiano ha una propria identità ben definita e riconoscibile, è un diamante che non può non brillare di luce propria. E da ottimo musicista polistrumentista quale è, sa quello che vuole quando si tratta di musica. Non ha la profondità di Fabrizio, ma piuttosto possiede una leggerezza che le canzoni del padre proprio non potevano esprimere. E come lui, invece, ha il pregio di sapersi circondare di ottimi e fidatissimi collaboratori (Luvi De André, Stefano Melone, Elio Rivagli, Pier Michelatti, e tutti gli altri). Il risultato è un disco di buon cantautorato tradizionale, di quelli che se ne fregano delle mode e delle classifiche; non farà gridare al miracolo, ma a dischi come questo, come a una buona bottiglia di vino, non si dice mai di no.

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