THE CURE, Three Imaginary Boys (Fiction Records, 1979)

Formati intorno alla figura accentratrice del giovanissimo Robert Smith, cantante e chitarrista, i Cure vengono messi sotto contratto, nel 1977, dalla casa discografica tedesca “Hansa” per la quale compongono alcune canzoni. Una di queste, “Killing an Arab”, ispirata da “Lo straniero” di Camus, provoca il rifiuto della casa tedesca che teme ripercussioni, in un periodo di forti contrasti col mondo islamico. Alla band questo non interessa e rescinde il contratto, firmando successivamente per la Fiction Records. Il 22 dicembre 1978 esce il singolo di “Killing an Arab” con retro “10.15 Saturday Night” pubblicato in tiratura limitata dalla Small Wonder. La Fiction lo ristampa nel Febbraio del 1979. A questo punto il gruppo è pronto per il grande lancio: a maggio esce “Three Imaginary Boys”.

Le trame intessute denotano vari punti di partenza: psichedelia alla Jimi Hendrix e glam alla David Bowie riveduti e mescolati alla semplicità punk che tanto sta spopolando in Gran Bretagna. Il risultato è affascinante, anche se a volte straniante. “10.15 Saturday Night” è il brano d’apertura – molti dei brani saranno ripresi in “Boys Don’t Cry” – e dimostra chiaramente quanto già detto. Anche se a volte si nota una certa ripetitività (“Object” e “So What” hanno più di qualche punto in comune) non si può non rimanere colpiti dalla sincerità che traspare dalle canzoni, a volte giustamente immature (Smith ha pur sempre vent’anni!) ma altre volte sbalorditive, emozionanti, cadenzate da un moto quasi circolare che finisce per abbracciare l’ascoltatore, mentre l’esile voce di Smith – suo segno distintivo – striscia sotto la pelle, si mescola alla musica, traccia in aria geometrie da fumo di sigaretta. Una musica che fa immaginare lampioni notturni, pioggia autunnale, sciarpe, freddo protettivo. Senza dimenticare la cover a sorpresa di “Foxy Lady” di Jimi Hendrix, caustica, irrispettosa, quasi un’altra canzone, cantata con voce nasale ed ironica da Smith, che non potendo competere – logicamente – con l’originale presenta una semplice chitarra ritmica distorta.

Non un lavoro perfetto, è ovvio, ma che messo a confronto con gli esordi di molti gruppi ben più maturi brilla per intelligenza e importanza. Si, perché ciò che ora noi chiamiamo dark ancora non è niente, bastano ancora un basso, una batteria e una chitarra, ma gli anni ’80 sono lì, alle porte, e questo gruppetto di ventenni ne avrà di cose da dire. Eccome se ne avrà…

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