ELBOW, Asleep In The Back (V2, 2001)

Appiccicato sull’involucro del cd, si legge un estratto di una critica apparsa sul New Musical Express: “Questi sono grandi temi di un’immaginaria colonna sonora, pronti a spezzare il cuore ovunque”. Si sa che la stampa inglese è la numero uno nel lanciare un gruppo, per poi neanche raccogliere la spazzatura formatasi per lo schianto al suolo immediatamente dopo quel lancio senza paracadute. In questo caso sembra che i membri degli Elbow si siano dotati di quell’indispensabile attrezzo, o che a qualcuno di loro siano spuntate delle inusitate alette. Effettivamente, ascoltando la voce angelica del cantante Guy Garvey, sorge il sospetto che i ragazzi siano preparati a sorvolare il successo senza paura di vuoti d’aria e d’ispirazione.
Dunque, giù il cappello davanti a questo esordio dei “Gomito” di Manchester, città da sempre all’avanguardia nel proporre stili e mode (dagli Smiths agli Oasis, dall’industrial-pop inizio anni ’80 al new acoustic movement attuale). “Asleep In The Back” assesta il quintetto britannico in un territorio confinante con le ormai inevitabili malinconie Radiohead, con certi momenti rarefatti stile Pink Floyd di “Meddle” e soprattutto con dimenticate atmosfere prog-rock. D’altra parte, lo stesso Garvey ha ammesso (neanche fosse una colpa) che il sound del gruppo prende sovente una piega alla King Crimson, quelli degli episodi più dolci e sognanti, senza tuttavia ricalcarne gli schemi più solistici. C’è una grande sensazione di compattezza nell’ascolto di “Asleep…”, sensazione che cresce ogni volta che il cd fa il giro completo dentro il lettore. Non si riesce a trovare una minima caduta di stile in questo melange ipnotico e malinconico, ideale colonna sonora (ancora!) di grigi pomeriggi autunnali, tema del quale gli inglesi conoscono molto bene lo svolgimento. Benediciamo comunque anche queste supposte teorie meteoropatiche, se i risultati sono sempre come la fantastica apertura di “Any Day Now” o la seguente e più pulsante “Red”, con la voce di Garvey che ricorda (a quei pochi che se li ricordano) il dolceamaro cantato scozzese dei Sideway Look.

“Coming second” ci colpisce duro con le sue chitarre che sembrano provenire dalle inquietudini di “154” dei Wire, “Newborn” è il fluviale primo singolo, liquida e passionale, “Presuming Ed” vede risorgere cori celestiali che rimandano ai Moody Blues non ancora tronfi di “In search of the lost chord”, “Scattered Black And Whites” è un epilogo magnifico e tenero dell’album, dal quale ci permettiamo di segnalare, per concludere, la clamorosa “Powder Blue”, canzone di una bellezza devastante e vagamente malata, quasi definitiva nella perfezione del suo romantic spleen.

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