MARILLION, Anoraknophobia (BMG/CMC, 2001)

Per quanti hanno ancora voglia di parlare di rock progressivo, sussiste il serio rischio di incorrere in clamorose cantonate. Se infatti ci ostiniamo a considerare i Marillion come uno dei maggiori gruppi esponenti di questo controverso e decadente genere musicale, ci troveremmo costretti ad includere nel medesimo contenitore anche elementi spuri come Massive Attack, Radiohead, Toploader. Ne è la conferma questo “Anoraknophobia”, disco importante che si avvicina più alla scena dub contemporanea che al magico mondo di folletti e pifferai di genesisiana memoria.

Marillion all’avanguardia su tutti i fronti, prima di tutto su quello commerciale/promozionale: la prevendita del disco è partita circa un anno fa attraverso Internet; nell’era di Napster, circa 12.000 irriducibili hanno pagato per un disco ancora in fieri, permettendo al gruppo di ottenere un maggior peso contrattuale con la propria casa discografica. Potere della musica o potere del marketing?
È indubbio che comunque questi soldi sono stati spesi bene; “Anoraknophobia” è il frutto di un gruppo maturo, consapevole delle proprie capacità, e sempre disposto a confrontare la propria ispirazione con le sfide del presente. Certo è che non si possa più parlare di rock progressivo. Quello che troviamo è pop, un pop raffinato, dalle melodie e dalle sonorità ricercate, ma sempre pop rimane. Per certi versi, la direzione sembra quella intrapresa da Geddy Lee nel suo ultimo album, in cui il mestiere di musicista “serio” si sposa con quello del presenzialista dell’FM.

La prima canzone “Between You And Me” è un rock di impatto immediato, in cui è già possibile apprezzare appieno le doti timbriche di Steve Hogarth, degno sostituto di un allora apparentemente insostituibile Fish. Con la seconda canzone, “Quartz” si entra già in tutt’altro “mood”, l’atmosfera si fa “sci-fi” e comincia a soffiare aria di Bristol. Stessa aria si respira nella lunghissima “This Is The 21st Century”, in cui una sinteticissima batteria segna il tempo ad un tappeto di tastiere “spaziali”, su cui poggia il riverbero della voce di Hogarth. Decisamente uno degli episodi più interessanti del disco. L’attenzione si desta anche per brani decisamente meno ricercati ma abbastanza orecchiabili, come “Map Of The World”, costruita intorno alle chitarre di Steve Rothery. Sicuramente più interessanti sono canzoni come “Separated Out”, con il suo gusto decisamente retrò proveniente da quei fraseggi di organetto che fanno tanto Doors.

Se il rock progressivo stenta oggi a trovare un’identità univoca, i Marillion scavalcano il problema, imponendo una propria visione della musica, forse non originalissima, ma senza dubbio di altissima qualità.

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