LOW, Things We Lost In the Fire (Tugboat, 2001)

Il suggestivo titolo del nuovo disco dei Low, “Le cose che abbiamo perso nel fuoco”, potrebbe essere preso da un racconto di Hemingway o di Carver, una di quelle storie di gente comune e del loro destino crudele.

E tra le tracce di questo lavoro si trova lo stesso mondo, un mondo di racconti tesi e veri, gioielli preziosi, ballate lente e dal fascino sconfinato, che non danno scampo. Registrate da Steve Albini, queste canzoni avanzano inesorabili, a cominciare dal passo di apertura, la seducente “Sunflower”, una melodia cristallina che illumina immediatamente il disco con le voci di Mimi Parker e Alan Sparhawk. Accanto alle chitarre scabre che ccompagnano le canzoni, agli arpeggi lenti, alla batteria secca, compaiono gli archi, il piano e le tastiere suonate con parsimonia e stile da Marc D’gli Antoni, una volta con i Soul Coghing.

In quegli attimi rallentati, dalla struttra imponente, affiorano squarci di armonie evocative, che a partire da “Dinosaur Act”, arricchita dalla tromba di Bob Weston degli Shellac, passando per gli intrecci vocali di “Whore”, e l’assoluta dolcezza di “Like a Forest”, impreziosita dagli archi, mostrano splendide melodie che rimandano ai Beatles. Ma “Things We Lost In the Fire” vive anche di momenti più intimi, di tenere confessioni come “Laser Beam”, affidata solo alle chitarre e alla voce di Mimi Carter, o ancora alla fragile “Kind Of Girl”, e di momenti più scuri, come “Embrace” e “Whitetail”.
C’è qualcosa di davvero unico nei Low. Autori ormai di una mezza dozzina di dischi a partire dalla metà degli anni novanta, riescono a infondere una magia particolare a questi brani, evocativi e mai noisosi. Come per la quieta malinconia di “In Metal” che conclude il disco, l’impressione è di trovarsi di fronte a canzoni che appaiono già dei piccoli classici.

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