OASIS, Familiar To Millions (Sony Records, 2000)

Forse siamo riusciti a trovare l’unico elemento che possa accomunare la band dei Fratelli Tispaccolafaccia con gli ormai vecchi rivali Blur: un album live ufficiale a testa, una delusione ufficiale a testa. Già, perché se il “Live at Budokan” (datato 1996) del gruppo di Albarn fu un disco assolutamente innocuo ed inutile, “Familiar to millions” non fa che eguagliarlo, presentando un gruppo stanco, dal suono monolitico e fastidiosamente rumoroso. Non basta l’entusiasmo del pubblico di Wembley, radunatosi lo scorso 21 luglio per celebrare l’evento e dare un commosso addio agli spalti ed al prato del vecchio stadio, prossimo alla demolizione. Oddio, forse una buona percentuale di quei 70000 c’è andata proprio per quello…
Cosa ci si può dunque aspettare da questo live? O meglio, cosa potrebbe spingerci a rinunciare ad un pranzo da pascià od all’album dei Sigur Ros, optando per questa celebrazione dall’odore stantio? Forse un momento di follia, un raptus, o semplicemente la sensazione di sentirsi più buoni. L’uscita di “Familiar…”, così vicina al Natale, ci fa mutare i sentimenti, od almeno li rende più dolci. Ecco, tutti i “…vieni qua che ti faccio un culo così…”, “…ti mando su una sedia a rotelle…” o gli auguri di Aids a qualche concorrente, spariscono, si dissolvono e pensiamo che Noel e Liam sono due vecchi zii brontoloni, che qualche canzoncina carina l’hanno fatta anche loro, che “Don’t look back in anger” è un capolavoro, il loro unico capolavoro, che se non ci fossero bisognerebbe inventarli. Però l’album non compratelo, diversificate gli investimenti. “Familiar to millions” è pesante, glam nell’aspetto più deteriore e serioso. In più, Brother Rissa bistrattano Neil Young (“Hey hey, my my”) e continuano a tartassare i Beatles, proponendo un’orribile versione di “Helter skelter”. Qualcuno dica loro di smetterla, non sono i Beatles del 2000 e purtroppo neanche i Pretty Things…

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