Con “Red” i King Crimson chiudono la produzione in studio degli anni ’70.
In particolare questo è l’ultimo atto dello straordinario quartetto Fripp, Wetton, Bruford, Cross (che qui figura come session-man insieme agli ex-Crimson Ian McDonald, Mel Collins, Robin Miller e Marc Charig).
“Lark’s Tongues In Aspic” (1973) e “Starless And Bible Black” (1974) avevano dimostrato in precedenza la capacità del leader Robert Fripp di sapersi rinnovare pur restando fedele ad un stile progressive curato nei minimi dettagli.
Il primo contiene tra l’altro temi vagamente esotici (“The Talking Drum”, “Easy Money”) e progressioni della chitarra elettrica (“Lark’s Tongues In Aspic, part two”) che saranno fonte di ispirazione, a partire da “Discipline” (1981), dei Crimson dell’era Fripp, Belew, Levin, Bruford.
Per la sua struttura monolitica e le atmosfere solenni, “Red” può forse ricordare il primo “In The Court Of The Crimson King” (1969), si nota anche un ritorno prepotente dei fiati che mancavano da “Islands” (1971).
La forma è però vicina ad un originale heavy-progressive come testimoniato da tutti i pezzi che compongono l’album.
La title track dimostra sicuramente questa durezza, la chitarra in alcuni riff sembra quasi riprodurre un motore al limite dei giri.
Si prosegue con “Fallen Angel” che concede degli spunti melodici grazie alla voce calda di John Wetton e fonde in maniera impeccabile gli strumenti a fiato con la sezione ritmica, raggiungendo così quella moderna sintesi jazz-rock tentata già in passato, con risultati non eccelsi, in “Lizard” (1970).
“One More Red Nightmare” è un manifesto della forza esplosiva della band e con le sue arie dark
costituisce un punto di riferimento per le formazioni future.
La strumentale “Providence” ha caratteristiche simili a “Fracture” (“Starless And Bible Black”, 1974) ed offre la possibilità a tutti i componenti di mettere in mostra la propria valenza tecnica e l’abilità nell’improvvisazione, determinante nelle performance dal vivo.
Infine “Starless” è uno dei loro capolavori. Non è semplice trovare nella storia del rock brani di tale intensità e forza espressiva. L’apertura è affidata agli archi che lentamente si diffondono introducendo il tema del mellotron patinato d’antico. In questo ambiente suggestivo si inserisce il canto di Wetton che trasmette efficacemente l’idea del titolo “senza stelle”.
La parte successiva, solo strumentale, è guidata dalla chitarra di Fripp che cresce di tono, in un clima di terrore e suspense, fino ad arrivare al monumentale epilogo dove l’energia del gruppo esplode in tutta la sua potenza. Le ultime note del sax riprendono il motivo iniziale del mellotron, e decretano, almeno provvisoriamente, la “morte” del “Re Cremisi”.
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