ROMISLOKUS, All Day Home (Romislokus, 2002)

Preceduto dall’EP omonimo, i Romislokus capitanati da Yuri Smolnikov danno alla luce anche il fratello maggiore.

In “All Day Home” vengono reinseriti tutti e cinque i brani del mini: l’energica “Cool”, particolare fusione di pop, rock progressive ed elettronica, la soffusa “If” che sembra una ballata alla Nick Cave avvolta in una coperta ambient con sprazzi di psichedelia a pungere con regolarità, l’eccellente “Freedom” dove si incontrano distorsioni, asperità, aperture orchestrali, pause di riflessione acustica e technopop, “I’m tired” col suo funky/dark/prog e “Persici”, col suo straniante cantato italiano e la sua aria candidamente pop.

Il lavoro sulla lunga distanza mostra una band agguerrita e decisa a giocarsi le sue carte con consapevolezza e intelligenza. La marcetta robotica di “Dreg” è sempre accompagnata da uno stuolo di tastiere angosciante e da un basso cupo, mentre la chitarra si fa largo in uno spazio siderale dove rintoccano, lontane e ancestrali, campane. Il brano ha ora le perfette cadenze di una marcia militare new-wave, prima che la chitarra slide voli verso lidi ignoti e che il tutto si interrompa facendo spazio ad un’elettronica ovattata a far da preludio al ritornello tra l’arabeggiante e il distorto. A chiudere tutto arriva, pacificante ma misterioso, il violoncello di Irina Yunakovskaya. Un mondo rarefatto presentato a occhi vergini in appena quattro minuti e mezzo.

Dopo aver parlato dell’italiano di “Persici” eccoci arrivare al francese di “L’amour”, dove l’ossessività di basso batteria e chitarra è spezzata da suoni bizzarri e improbabili: certamente uno dei brani meno ispirati del lotto, curioso ma incapace di spiccare realmente il volo.

Inflessioni country in “Name”, che ricorda certo doo-woop alla Linda Scott con riferimenti a personaggi come Ben E. King e Roy Orbison e un’attitudine da pop epico. Anche qui, come da copione, la ritmica si fa improvvisamente più sincopata: una delizia di neanche tre minuti.

Di nuovo il volto di Nick Cave fa capolino dietro l’oscura profondità di “Tree By The Wall”; un Nick Cave arrangiato da Angelo Badalamenti. Splendido l’apporto del violoncello, a sottolineare le aperture orchestrali che si scontrano con l’ossessività dei campionamenti. Un basso angosciante si fa spazio mentre l’atmosfera si spezza in un frammento jazzato, che accompagna verso la fine il pezzo circondato da elettronica ambientale.

Il pop-rock indeciso fra rabbia e dolce riflessione acustica di “Captain Zero” chiude l’album. Una dimostrazione di forza, coraggio e coerenza. Per chi scrive, una piacevolissima conferma.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *