GOOD MORNING BOY, Good Morning Boy (Urtovox, 2002)

Anche l’Italia ha il suo musicista tuttofare. Come accade con gli Sparklehorse di Mark Linkous o gli Smog di Bill Callahan e tutti quei gruppi composti in realtà da una sola persona, Good Morning Boy non è nient’altro che il nome dietro a cui si cela Marco Iacampo, che qui suona, canta e compone praticamente tutto. Un musicista che aveva già dimostrato il proprio talento insieme agli Elle, ma la cui creatività sembra letteralmente esplodere tra queste tracce.

Rispetto al passato è mutata l’ispirazione. Qui infatti a essere protagonisti sono i suoni rurali dell’America, rivisitati con uno sguardo moderno attraverso incisioni spartane, rumori di fondo e un gusto neanche troppo nascosto per le armonie di Beatles e Beach Boys. Come accade appunto negli Sparklehorse, ma qui con un gusto più marcato per le melodie sghembe caro a tanti gruppi americani, dai Flaming Lips per arrivare agli Elf Power.

Questo esordio omonimo mostra subito tutto il proprio splendore con il brano posto in apertura, l’irresistibile “Good morning blues”, qualche nota di piano che punteggia le chitarre. Si prosegue tra piccoli quadretti di tranquillità acustica, “1, 2, 3, 4, 5…” e “This is for me”, posti giusto accanto a momenti elettrici, in cui i suoni delle chitarre ricordano certe cose di scuola Dinosaur Jr, ma in cui le melodie restano immancabilmente contagiose. Piccoli frammenti pop irresistibili, “Lili (she’s got a really nice b-walking)” e soprattutto “Lovesong”, gioiello in perfetto equilibrio tra dolcezza e irruenza.

Uno dei vertici del disco, allo stesso modo delle immagini rarefatte di “For the Morning Scope”, prossima al country spettrale degli Sparklehorse, e alla purezza di “Snowfall”, in cui si scorgono le atmosfere pacate di certi dischi di Neil Young. Senza dimenticare le soluzioni più inusuali offerte da “Good Morning Boy”: il piccolo intermezzo pianistico di “A day on the bay” e un sorprendente spaccato di West Coast che pare venire direttamente dai dischi di David Crosby intitolato “Migratory boy”.

Dall’inizio alla fine tredici brani che riescono davvero ad entusiasmare. Come accade di rado e non solo in Italia.

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