YO LA TENGO, “This Stupid World” (Matador, 2023)

Il nuovo album degli Yo La Tengo è l’ennesimo turbine di emozioni e di choc cui la brillante carriera della band ci ha abituati nel corso dei decenni, l’ultimo, ma solo in ordine temporale e non di certo assoluto, grido di libertà e di speranza di una band che non vuole arrendersi al delirio generale nel quale siamo tutti quanti immersi.

Le crisi cui il nostro mondo va incontro, ieri come oggi, sono qualcosa con cui tutti gli artisti, grandi e piccoli, decidono spesso di fare i conti; di frequente, anzi, sentono il bisogno di farne. Gli artisti più lungimiranti, spesso i più disillusi, coloro che si sono sin dall’inizio astratti dalla contingenza, che operano in un universo a parte, fatto di lacerazioni continue nello spazio e nel tempo, sembrano conoscere meglio di chiunque altro dove stiamo andando. E se non conoscono esattamente dove questo delirio di onnipotenza ci sta conducendo sanno perfettamente che non porterà a nulla di buono. La tensione che deriva da tutto ciò è la sostanza stessa di cui è fatto This Stupid World, il nuovo album degli Yo La Tengo.

Ormai vicini ai quarant’anni di carriera, gli Yo La Tengo, proprio come i loro quasi coetanei Low, sembrano non riuscire a non stupire: sia che le loro nuove creazioni siano perfettamente in linea con alcune di quelle passate sia che rappresentino, invece, una rivoluzione più o meno dirompente nella loro produzione, esse continuano a lasciare in sospeso il discorso che diversi decenni fa hanno aperto. A tre anni di distanza dalle improvvisazioni spiazzanti di We Have Amnesia Sometimes e a cinque dall’affascinante There’s a Riot Going On la band di Ira Kaplan, Georgia Hubley e James McNew, forte di una serie di jam iniziate immediatamente prima dello scoppio della pandemia, a inizio 2020, che sono state il punto di partenza per la conclusione delle registrazioni, terminate nelle ultime settimane del 2021, si ritrova oggi a pubblicare una serie di brani dalla potenza evocativa straordinaria, un ammaliamento di forze e di spiriti benigni e maligni che è in linea con i loro migliori lavori.

Nato originariamente come una serie di brani strumentali cui sono stati poi aggiunti i testi, This Stupid World, inciso, come alcuni dei più recenti lavori del gruppo, in New Jersey, a Hoboken, tiene insieme le due anime complementari degli Yo La Tengo, quella sperimentale, avanguardistica e disorientante e quella avvolgente, ipnotica e melodicamente attrattiva, facendole danzare in equilibrio precario su un filo che unisce le vette di due montagne. Il risultato è per larghi tratti esaltante.

Tra viaggi cosmici che proiettano l’ascoltatore in una dimensione astrale e graffi rock che rinvigoriscono il suo legame con ciò che ha sotto i suoi piedi, This Stupid World è una macchina instabile che procede prudente per una strada sterrata in una notte nebbiosa. Le scariche elettriche della opener “Sinatra Drive Breakdown”, alienante e frastornante, sono soltanto la prima delle tante manifestazioni che gli Yo La Tengo assumono nel prosieguo dell’opera, metamorfici e intrepidi, pronti a sorprenderci e a sorprendere sé stessi per primi. Procedere oltre è come entrare bendati in un luogo che non si conosce e provare a indovinare dove ci si trovi in base agli odori e ai suoni che si percepiscono, o come provare a figurarsi un posto che si è frequentato e nel quale, per svariati motivi, non si può più ritornare.

Messaggi cifrati, dunque, popolano This Stupid World, alcuni sorprendentemente concilianti, altri profondamente turbanti, ma in ogni caso necessari per provare a ricostruire il puzzle disfatto che ci si trova davanti. Le altalene emozionali della pulsante e ariosa “Aselestine”, le cui chitarre oniriche sembrano smaterializzarsi nel momento stesso in cui nascono e fondersi nella voce ammaliante di Hubley, danno vita a un tranquillizzante episodio country-folk che lascia solo apparentemente i demoni fuori dalla porta. Questi, in realtà, ti osservano, ti seguono prima con gli occhi e poi fisicamente appena esci di casa, non ti abbandoneranno mai. Le richieste di aiuto di “Fallout” lo dimostrano: «Everyday it hurts to look / I’d turn away if only I could», canta Kaplan, e il mondo intorno sembra crollare pian piano come dopo una scossa di terremoto, sfaldarsi in preda a un ciclone, perdere la consistenza che aveva assunto e vorticare un po’ in aria prima di collassare. È ancora la voce di Hubley, incantevole e al tempo stesso infida, che ci conduce per mano negli anfratti stranianti della grotta glaciale che è “Miles Away”, un dream pop dai contorni sfocati che ridisegna l’orizzonte più distante ogni volta che sembri aver raggiunto la meta.

È una lotta contro il tempo quella che va in atto in This Stupid World. Si prova a guadagnare un angolo di salvezza senza alcun risultato. Le ombre calamitiche della inquietante “Tonight’s Episode”, raggelante e selvaggia, guidata da un McNew assatanato, non sembrano lasciare alternative aperte: l’io lirico, pur avendo un «brain […] ripped to shreds», sembra lasciarsi andare e accettare ciò che la sorte ha in serbo per lui: «I don’t have to think», prosegue, come se si fosse appena liberato di un fardello. La cadenzata e sinistra “Apology Letter” fa i conti con un rapporto che si è incrinato e che sembra un paradigma per ogni filo sottile che da qualche parte nel mondo è sul punto di spezzarsi. «If I were to smile at you / Would you smile at me?», canta Kaplan, la sua voce levigata e sofferente, davvero dispiaciuta nel riconoscere che forse è davvero troppo tardi per ricucire i tagli.

Le derive distopiche dello stupido mondo che gli Yo La Tengo dipingono investono quasi tutti gli ambiti, dai rapporti interpersonali a quelli con sé stessi, dalla società alla natura. «Hold me tight and tell me that everything’s fine», canta Kaplan con tono quasi sardonico nella sinistra “Brain Capers”, poco prima che il gruppo, nella destabilizzante title track, costruisca un muro di suoni in cui tutto si impasta, si mescola e lotta in un eterno indistinto che non sembra trovare un punto di svolta nei suoi perenni e instancabili stravolgimenti. La voce è quasi strumento, ormai: le ultime certezze crollano, il giusto e lo sbagliato si confondono e la verità si inabissa in una palude inesplorabile. «This stupid world / It’s killing me / This stupid world / Is all we have», canta Kaplan scomparendo; a noi, infine, spetta l’ultimo tentativo di riemergere all’aria con qualche cosa in mano che dimostri che non è stato soltanto un incubo.

82/100

(Samuele Conficoni)