YAYA BEY, “Remember Your North Star” (Big Dada, 2022)

Il titolo del nuovo album di Yaya Bey, forte imperativo categorico, morale ed esistenziale, Remember Your North Star potrebbe essere parafrasato in questi termini: Ricordati da dove vieni. Ricordati chi sei, perché sei al mondo e perché non puoi permettere a niente e a nessuno di distrarti dai tuoi obiettivi. Ricordati sempre delle tue radici e non lasciare che qualcuno provi a strappartele. Yaya Bey condensa questi diktat in un album che attraversa elegantemente hip-hop, soul, jazz e R&B e prova a raccontare cosa significhi essere una donna nera oggi. Bey lo fa muovendosi entro un piano narrativo conciso e coeso, cantando di relazioni ingombranti, di sesso e di dolore con uno sguardo attento e sempre lucido e acuto.

Remember Your North Star è a suo modo una “thesis” – così Yaya Bey ha descritto il suo album in una recente intervista rilasciata a Pitchfork –, una dimostrazione attraverso ritmi e note, una tesi (musicale) di laurea, un saggio che è anche un po’ romanzo sintetico e ampio, puntuale, che nel raccontare degli amori complicati e tossici che spesso una donna nera si trova a sperimentare descrive cosa implichi per una donna, e in particolare una donna nera, provare a sottrarsi o ancor di più a combattere la misoginia straripante che attraversa queste vicende, atteggiamenti prevaricatori e violenti che scavano un solco profondo nella psiche della donna e costruiscono traumi quasi impossibili da superare.

La part destruens del progetto, centrale e fondamentale, non è però tutto. Lo scopo e la vivacità del disco, infatti, stanno anche nella speranza di poter superare o esorcizzare questi drammi attraverso la storiastessa che una donna nera ha alle spalle, che è in primis quella del suo popolo, e attraverso la musica, vera arma di liberazione del corpo e dell’anima di chi ha la necessità di scappare e di sfuggire da situazioni complesse cui è fondamentale porre un freno. Remember Your North Star racconta di tutto questo in una serie di brani, molti dei quali prodotti e scritti interamente da Bey stessa, arguti e seducenti, interpretati da Bey in modo brillante e caratterizzati da narrazioni vivide e asciutte che contribuiscono a dare al disco una coesione interna particolarmente riuscita.

Successore di Madison Tapes, il suo LP di debutto, e dell’EP The Things I Can’t Take with Me, Remember Your North Star è il disco della maturità di Bey, oggi trentatreenne con base a Brooklyn, cantautrice sin da quando aveva nove anni e anche poetessa e visual artist. «I always wanted to perform my own words», aveva dichiarato in un’intervista rilasciata a Rolling Stone l’anno scorso, e Remember Your North Star è senza dubbio il progetto più riuscito della sua carriera proprio perché lo spirito e le idee di Bey trasudano da ogni singola nota, da ogni singola parola dell’album, dipingendo le paure, i problemi, gli ostacoli e i drammi che una donna nera sperimenta nel corso della sua vita. Un sound variegato e coraggioso incalza i racconti e la delivery di Bey: il risultato è quello di una dichiarazione di intenti e di poetica chiara e persuasiva.

La penna di Bey è tagliente e precisa. Canta con una sicurezza formidabile, trasformando la sua vulnerabilità in una corazza che le permette di assorbire i colpi subiti e di restituirli con gli interessi, smontando le insulse ragioni di chi continua a perpetrare un certo tipo di ingiustizie o di ingerenze nei confronti di ogni donna. «The pussy so, so good and you still don’t love me», canta in “keisha” con un’ironia sensuale e pungente, una spregiudicatezza tesa a demolire le certezze superbe e fasulle del suo interlocutore. «Ain’t I so impressive baby / Ain’t no second-guessing baby», ammonisce Bey nella incantevole “big daddy ya”, che mostra l’originale commistione di R&B e di hip-hop che l’autrice intende costruire. Pur riflettendo sul trauma, Bey non può non lasciarsi andare alla gioia più carnale e sincera, un festival di ritmi e di colori che si dipana dall’inizio alla fine del disco: si impara attraverso il dolore – pàthei màthos –, questo è certo, ma la catarsi deve spesso coincidere con una ragionata liberazione della mente e del corpo. «Don’t you wanna reset / You don’t wanna regret», canta impassibile Bey in “pour up”, brano che vede la partecipazione di DJ Nativesun: Bey sembra quasi sfidare il destinatario delle sue parole lasciandosi andare a un piacere sfrenato e allettante, che avvinghia, trascina e libera di ogni peso, fino a lasciare stremati e finalmente leggeri.

La thesis che Bey vuole presentare in Remember Your North Star è in ogni caso un percorso fortemente libero, sia dal punto di vista lirico che dal punto di vista musicale. La direzione entro cui Hadaiyah si muove è chiara sin dall’inizio, ma la strada per raggiungere la meta è sfaccettata e policroma. Nella conturbante “meet me in brooklyn” Bey ripete come un mantra «Tell me what I wanna know» con una voce rilassata e plastica, che sembra modellarsi al beat e al sample in background. La medesima consapevolezza dei propri mezzi e dei propri obiettivi pervade tutto il progetto. La fiducia con la quale Bey interpreta la scanzonata “don’t fucking call me”, ciondolante e fumosa, che sembra trascinarsi come un’ombra dietro la sua autrice, mostra una coscienza autoriale originale e profonda. Essa si rintraccia dappertutto, come nella naturalezza con la quale Bey interpreta la annebbiata e lo-fi “street fighter blues”, un R&B a tinte gospel frammentario e magnetico e ancora nella devozione ammaliatrice che abita la spirituale “blessings”. La capacità di narrare storie con piglio penetrante e al tempo stesso sfuggente è uno dei punti di forza di Bey, e le scelte musicali che effettua non sono meno vincenti e ambiziose. I diciotto brani di Remember Your North Star sono schegge selvagge che non lasciano indifferenti.

82/100

(Samuele Conficoni)