CLINIC, “Fantasy Island” (Domino, 2021)

“Wheeltappers and Shunters” del 2019 a me era piaciuto. E anche parecchio. Un disco dei Clinic in uno spazio temporale che pare lontanissimo, dove era piacevole vedere gli inglesi (tutti) trarre linfa vitale artistica dopo la questione Brexit. Sembrava un periodo di fermento, la musica reagiva, quella dei Clinic, come al solito, in maniera liquida, ironica, ma aggressiva e quel tanto psicotropa per fottersene il giusto. Poi è arrivato lui, mister virus bat-qualcosa, che ha “obbligato” ad un ripensamento globale. Tutti fermi. Chi vuole può anche trarre ispirazione da questo stop obbligato. Cosa fanno i Nostri, a questo punto?

Litigano, credo, o perlomeno hanno opinioni discordanti sul proseguo del progetto. Diventano un duo. Leggono e si fanno ispirare da un romanzo di fantascienza come “La Vita Futura” di H.G. Wells e dal sociologo, filosofo e critico letterario Herbert Marshall McLuhan. Fantasy Island, decimo lavoro del gruppo ora rimasto nelle sole mani di Ade Blackburn (voce, chitarra, tastiere) e Hartley (chitarra, tastiere, clarinetto e chissà quali altre diavolerie) nelle intenzioni avrebbe dovuto essere il disco più POP degli inglesi. Inutile dire che non è così, anche se mi piace pensarlo. In fondo la mia testa non ha mai smesso di oscillare, perdendosi nei colori di “Refractions (in the Rain)” o nelle divagazioni oniriche e rilassanti di “Hocus Pocus”.

Immaginate i suoni kraut affogati in un cocktail di gradazione alcolica altissima dissolversi in acqua blu che diventa melmosa; immaginate il sole che vi scalda le chiappe allontanarsi creando momenti di gelo improvviso, immaginate di essere in vacanza mentre il mondo va a puttane.

Immaginate tutto ciò sotto l’algido ghigno dei Clinic, che non si può vedere per via di quelle fottute mascherine ma che si può sentire per via del frastuono che questa nuova festa ha generato.

Foto dei Clinic in Home: cortesia di Spin!Go

75/100

(Nicola Guerra)