[MediaCritica] Rifkin’s Festival

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Sopravvivere nell’inadeguatezza
L’impegno cinematografico annuale di Woody Allen lo ha portato in Spagna per raccontare un’altra storia legata a un luogo e, stavolta, a un contesto a lui certamente congeniale, quello di un festival cinematografico con tutti i personaggi che gravitano intorno alle proiezioni e agli eventi mondani. Ad allungare la lista dei tanti alter ego del grande comico statunitense, questa volta c’è Rifkin (Wallace Shawn), ex docente di cinema e uomo alle prese coi propri sogni che non ammettono il compromesso.

Coinvolto dalla moglie per un soggiorno disimpegnato, si lascia trascinare facendo tutto il possibile per essere odiato dai registucoli sulla cresta dell’onda; s’imbarca suo malgrado in sogni lucidi e citazionisti (rigorosamente in bianco e nero), tra i ricordi famigliari, il rapporto con le donne più giovani e la presenza opprimente dei maestri europei, Bergman, Fellini e Godard, inarrivabili metri di giudizio della sua opera mai compiuta.

Non si tratta di un nuovo Stardust Memories, però: Rifkin non combatte il pubblico e l’industria, vuole scrivere un romanzo e l’inadeguatezza che lo immobilizza è tutta personale ma, ciononostante, il bisogno insoddisfatto non lo addolora fino a provocargli la nevrosi. Vive la propria mancanza col sorriso beffardo in volto; è incompleto ma presuntuoso perché la consapevolezza gli ha impedito di mettersi in ridicolo come Philippe (Louis Garrel), il giovane e attraente regista che dichiara ai giornalisti di poter offrire delle soluzioni per il conflitto israeliano-palestinese. Persino l’iniziale ipocondria è presto superata, trasformata in pretesto per avvicinarsi all’incantevole dottoressa Rojas.

Il suo soggiorno a San Sebastián è malinconico, la nozione che la moglie lo tradisce è inghiottita rapidamente come fosse una compressa insapore, il litigio è nascosto nelle ellissi temporali; anche l’esistenzialismo bergmaniano diventa presto un’altra occasione per inserire la battuta fulminante, per cercare la risata con punchline stordenti che però, nella maggior parte dei casi, suonerebbero ben più naturali in bocca a un Allen nel pieno della forma. È inutile nasconderlo: permane la sensazione di assistere a un film confezionato per calzare sul corpo di attori del passato, di personaggi appartenenti alla cerchia ristretta della New York intellettuale, quella che abbiamo conosciuto proprio nelle opere maggiori dello stesso Allen. Il finale arrendevole e per nulla disperato pare dirci che l’inverno della vita ha stemperato il suo conflitto interiore anziché acuirlo; sarebbe troppo facile sostenere che ciò indebolisce il significato dei suoi film, la lucidità di Allen a ottantacinque anni è davvero sorprendente.

Rifkin’s Festival [Id., USA/Spagna/Italia 2020] REGIA Woody Allen.
CAST Wallace Shawn, Gina Gershon, Elena Anaya, Louis Garrel.
SCENEGGIATURA Woody Allen. FOTOGRAFIA Vittorio Storaro.
MUSICHE Stephane Wrembel.

Commedia/Drammatico, durata 92 minuti.

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