Wrong Ninna Nanna, la nostra intervista a Bifo e Marco Bertoni

Franco ‘Bifo’ Berardi è una delle figure più curiose dell’universo politico e culturale italiano. Voce del ’77 bolognese, fondatore di Radio Alice, oggi prolifico autore e sempre preciso analista del momento socio-politico.

Immaginarlo prestato alla musica non stupisce troppo, al massimo perché non ci è arrivato prima.

Iniziato lo scorso anno e concluso durante il lockdown primaverile, “Wrong Ninna Nanna” è il lavoro che vede i testi di Bifo recitati da Lydia Lunch e Bobby Gillespie sulle musiche di Marco Bertoni, già nei Confusionale Quartet. Un disco molto particolare, vicino a esperienze di tipo performativo, che valorizza in pieno il messaggio (non certo positivo, ovviamente) lanciato dalle parole dell’agitatore politico bolognese.

Un grido che pervade il mondo passando dalle piazze in rivolta di Hong Kong a Santiago del Cile, da Beirut a Barcellona; un mondo che sta vivendo un apocalisse ecologica; non è facile digerire la fotografia che ci offre “Wrong Ninna Nanna” soprattutto in momenti critici come questo per la nostra società.
Abbiamo intervistato il filosofo e il musicista bolognese, per sapere di più su questa anomalia per l’anno discografico italiano, in prossima uscita su vinile in 500 copie per la label 42 Records.

Franco “Bifo Berardi”

Bifo, come mai ha sentito l’esigenza di scrivere questo disco oggi?
Esigenza è dir troppo. Non mi capita mai di avere l’esigenza di fare questo o di fare quello. Me ne viene voglia, questo sì. Quando ho conosciuto Marco Bertoni mi è venuta voglia di fare qualcosa con lui. E siccome intorno a noi domina l’orrendo cinismo della razza bianca senescente, demente, aggressiva, incapace di riconoscere il suo debito e di pagarlo, mi è venuta voglia di dire quello che mi sembra urgente: il suprematismo bianco capitalista maschio ci ha portati all’inferno.

I suoi testi parlano di un mondo prossimo all’;Apocalisse; Marco Bertoni descrive un
panorama desolato e morente, come quello della “risacca prima dello Tsunami”; che lei ha in passato descritto. Ma questa onda grande nel frattempo è arrivata e non ce ne siamo accorti o ci dobbiamo ancora preparare

Il mondo non è prossimo all’Apocalisse, la sta vivendo. Sta vivendo nel pieno di un’apocalisse nel senso etimologico della parola. L’apocalisse è rivelazione, e la pandemia non ha fatto che rivelare quel che cercavamo di non vedere: che quaranta anni di dittatura fascio-liberista hanno distrutto il pianeta, hanno distrutto lo stato sociale, e hanno distrutto l’equilibrio psichico dell’umanità. Ora ce ne siamo accorti, ma è troppo tardi per poterci preparare. Ora lo tsunami farà quello che deve fare: spazzerà via la gabbia che abbiamo chiamato civiltà, che abbiamo chiamato economia, che abbiamo chiamato stato. E nelle rovine che seguiranno qualcuno potrà cominciare un’avventura nuova che dimentichi l’accumulazione, il profitto, la supremazia nazionale razziale e sessuale.

Le voci di queste Wrong Ninna Nanne sono Lydia Lunch e Bobby Gillespie: oltre a stima e conoscenza, ci sono dei motivi particolari che legano la loro presenza al progetto?
Il caso ha voluto che Lydia e Bobby già in passato fossero capitati nella mia vita e nella vita di Marco, e che fossimo amici. Ma il punto è un altro. Io ascoltavo Lydia Lunch quando vivevo a New York e scrivevo per un giornale musicale che si chiamava Musica 80.
Non conosco una voce che possa esprimere meglio i sentimenti di estrema sofferenza e di rabbia indicibile di una ragazza che ha messo al mondo un povero innocente credendo di potergli offrire una vita tollerabile e si rende conto di essere stata ingannata da tutto quel ciarpame merdoso di promesse false che induce le persone a procreare. Quale voce meglio della sua, stregonesca, terribile, addolorata, piangente, stridente, violenta, morente? E chi meglio di Bobbie può pigolare infantilmente a quel modo affascinante e ingenuo, insinuante e timido?

Dall’arrivo del lockdown in Italia, lei ha cominciato a parlare di “psicodeflazione”;. Con il quasi totale stop alle attività di spettacolo dal vivo -e parallelamente, a quelle di produzione e distribuzione dei prodotti artistici- pensa che le generazioni più giovani riescano a trovare modalità diverse per l’espressione artistica, fuori dal meccanismo del capitale? Potrebbe oggi esistere un’esperienza simile a quella che fu Radio Alice per il ’77?
È evidente che stiamo assistendo a un cambiamento profondo nelle modalità di distribuzione delle opere artistiche. Pensiamo solo alla sussunzione del cinema da parte delle grandi piattaforme della net-TV (Netflix per citarne una): questo cambiamento influisce sulle stesse modalità di produzione e sulle caratteristiche delle opere. La stessa video-conferenza sta evolvendo, si trasforma in una sorta di teatro online. Per il momento non vedo segni di un media-scape alternativo, autonomo, auto prodotto. Vedo un proliferare di creazioni visuali, letterarie, performative, ma non vedo la formazione di piattaforme autonome di distribuzione. Penso a quello che fu Indymedia negli anni 1999-2001, prima della infame repressione di Genova. Indymedia fu un esperimento straordinario di creazione di una piattaforma globale autonoma, auto-gestita. La uccisero i padroni del mediascape. Berlusconi, allora boss della politica italiana, con la mattanza di Genova, gestita dal suo complice Ministro degli Interni Gianfranco Fini, strangolò quell’esperimento.
Radio Alice è un riferimento archeologico. Allora il media scape era deserto, se giravi la manopola della radio ascoltavi solo la Rai e Radio Vaticana (e Radio Tirana per intenditori). Oggi le webradio sono una miriade di voci nell’oceano cacofonico del mediascape globale.
Però oggi occorre un’innovazione che abbia la stessa capacità di ridefinire l’intera percezione dell’Infosfera, la navigabilità del media-scape: una piattaforma dell’arte libera, dell’informazione autonoma: un attrattore mediatico e politico capace di dare visibilità agli artisti indipendenti, e
tecno-creatori indipendenti.
Questo ci occorre.
Negli anni Novanta, il poeta Nanni Balestrini si appellava al pubblico della cultura: “Adesso che anche le parole sono state saccheggiate / e noi che ci occupiamo della loro manutenzione / dobbiamo tentare di ridare un senso alle parole/ ci appelliamo a voi comparse e pubblico”. La poesia si concludeva con una citazione a Bertolt Brecht, “adesso come in altri tempi bui / in cui discorrere di alberi è quasi un delitto”;. Parole che però sembrano più attuali che mai nel 2020, con il risveglio dei fascismi globali e campi di concentramenti sostenuti dalle maggioranze democratiche in tutto il Mediterraneo. Sarà possibile tornare a ridare un senso alle parole, oggi che si usa il termine “negazionista”; con pericolosa leggerezza e non si riesce a immaginare altro dallo stato di cose presente?
Le parole hanno un senso quando esiste una socialità capace di comprenderle, di usarle, di sentirne l’emozione e di maneggiarle secondo una comune intenzionalità. Quel che ci manca oggi è la socialità, la condivisione emotiva e politica, per questo le parole hanno perduto senso. Nella
traumatica soglia che stiamo attraversando, che può durare a lungo, mentre l’edificio del capitalismo moderno cade a pezzi il compito è proprio quello di costruire un contesto di senso fondato sull’eguaglianza e sulla frugalità.

Dai suoi interventi negli ultimi anni esprime una forte perplessità riguardo ai movimenti di protesta sorti in tutto il mondo. Con la brusca accelerazione causata dallo stato di emergenza globale che stiamo vivendo, pensa che possa nascere una nuova coscienza sociale?
Io non sono perplesso, quando emerge un movimento. Cerco di interpretarlo, di cogliere le sue potenzialità, la sua funzione, i suoi limiti. Per esempio durante l’autunno del 2019, mentre si riempivano le strade di Santiago del Cile e di Hong Kong e di altre cento città io non ero affatto perplesso. Ero partecipe e anche un po’ preoccupato. Mi sentivo parte di quella sollevazione globale, di quel vero e proprio vulcano. Ma temevo che l’eruzione non fosse in grado di seguire un progetto strategico comune, perché quel progetto non è ancora nato. Sentivo che non si trattava di un movimento propositivo, almeno non nella sua dimensione internazionale. Era una convulsione, uno spasmo della mente e del corpo collettivo. Come sempre fanno i movimenti, anche quella convulsione portava in sé una premonizione di futuro. Subito dopo è arrivato il collasso, l’apocalisse. Adesso i movimenti debbono porsi il problema di uscire dal cadavere del capitalismo, di creare strutture di autonomia di lungo periodo.

Marco Bertoni

La sua carriera, a partire dagli esordi con i Confusional Quartet, ha toccato estremi molto diversi: avant-jazz, colonne sonore, no-wave, produttore pop, fino agli studi sulla voce umana con Enrico Serotti (“New Machine Voice”). Ma si era mai trovato a confrontarsi con questa forma, molto più vicina ad esperienze di poesia performativa che al campo strettamente musicale?
Questa è la prima volta che ho la possibilità di realizzare una unione tra il suono e le parole e da parte mia era importante sostenere musicalmente gli scritti di Bifo che condivido pienamente. A differenza delle altre produzioni a cui ho lavorato, qui l’obiettivo era raggiungere qualcosa che mi
soddisfacesse sia a livello sonoro che a livello emotivo, espressivamente condizionato solo dalle sensazioni che mi davano i suoni che venivano a formarsi, dalle tematiche e dalle immagini dei testi e dalle lunghe chiacchierate fatte con Bifo.

Quali sono le scelte che l’hanno portata a scegliere questo tipo di composizione basato principalmente sui field recordings?
Da tempo avevo in animo di lavorare su composizioni che inglobassero registrazioni di rumori naturali. In Wrong Ninna Nanna sono una parte portante del magma che si e andato a sedimentare e stratificare. Questi suoni (legni foglie pietre uccelli pioggia) sono stati anche processati e sommati ad altre fonti sonore: qualche pianoforte, vibrafono, vecchie audio cassette con musica registrata molto tempo fa, parti per coro. A livello produttivo il computer e stato fondamentale permettendomi di utilizzare dispositivi come 50 delay in cascata.

Una cosa molto interessante che si nota nel disco è come nei testi si parli di un”apocalisse globale, mentre l’aspetto sonoro non fa riferimento a nessuna tradizione particolare. Secondo lei, con i mezzi di produzione artistica e di distribuzione offerti dalle nuove tecnologie e dalla rete, sarà possibile arrivare a una musica modale globale? E se sì, è davvero auspicabile?
Mi sembra che una musica globale ci sia già da alcuni anni, e probabilmente è solo una impressione pensare che sia totalizzante e appiattente. Credo che l’impressione sia data dai mezzi di comunicazione, che creano comparti, specchi, illusioni ma che contengono anche cose concrete. Vari segmenti si sovrappongono: una musica di massa sterile e non interessante, proposte a volte anche di qualità eccelse ma mescolate a pattume, e poi possibilità di nicchie infinite che portano avanti discorsi alternativi e intimi ma, oltre la rete, mi piace immaginare nei boschi e nei campi di periferia, piccoli gruppi di carbonari che si troveranno per suonare, battere legni e pietre e cantare, in posti e situazioni simili ai rave party che furono.
Più che chiedersi se sia auspicabile una musica globale, sento che in generale la cosa importante sia il non appiattirsi su l’unica funzione di musica come entertainment, musica da compagnia o come camera di decompressione, ma dare spazio a un pensiero di musica che possa dare sorpresa e fermento per qualcuno in ascolto. Mi auguro che questo sia il caso di Wrong Ninna Nanna.

Da quando avete cominciato a lavorare a “Wrong Ninna Nanna”, c’è stata di mezzo la crisi pandemica, e il lockdown. Ha in qualche modo influenzato il vostro lavoro?
Il progetto è nato nell’ estate 2019 e solo il brano “Earth and World” è stato scritto e composto durante il lockdown, il resto era già stato prodotto. A Bifo è sembrato giusto aggiungere un ultimo testo nel vuoto del lockdown e la sua interpretazione è stata affidata a una voce sintetica.

Nelle note stampa del disco viene dichiarato che il primo seme di “Wrong Ninna Nanna” viene da lei; in che modo ha pensato di proporre un lavoro del genere a una personalità come quella di Bifo? Avevate già avuto modo di incontrarvi e discutere o è stato un primo incontro?
È stato un primo incontro. Conoscevo Bifo come suo lettore da anni, ho sentito il bisogno e la voglia di fare qualcosa con lui, di incontrarlo per proporgli una non ben specificata collaborazione.
È stato un incontro positivo e forte. Bifo mi ha detto su che cosa al momento gli interessava lavorare, io gli ho detto una serie di titoli che mi giravano in testa. Wrong Ninna Nanna ha fatto scattare (letteralmente) Bifo come una molla: ha iniziato a scrivere a prendere appunti, a
raccontare.
Poi sono seguite varie versioni e tentativi, e altri incontri. È sempre stato un piacere e ci siamo fatti delle belle risate insieme.

Quanto pensa di avere influenzato il lavoro di stesura dei testi, e quanto invece crede che l’influenza di Bifo abbia influenzato la parte musicale?
Senza avere per le mani la versione finale dei testi, nonostante avessi già in mente gli ingredienti della parte sonora, non ho voluto comporre e produrre nulla. Bifo e stato molto bravo nel riuscire a fare tutto senza poter ascoltare una sola nota. E’ stato un work in progress particolare, un po’ strano ma totalizzante. Solo dopo aver avuto i testi ho prodotto le musiche. Abbiamo proposto a Lydia Lunch e Bobby Gillespie di realizzare le parti vocali, a loro sia le liriche che le basi sono piaciute molto e sono stati eccezionali nelle loro performance.