Prince e il segno dei tempi

Di recente le pagine social gestite dalla legacy di Prince hanno chiesto ai fan che cosa rappresenti oggi per loro “Sign o’ the Times”, il capolavoro uscito nel marzo 1987 del quale oggi esce una nuova e ampliata edizione deluxe. Prince compose l’album, che chiude idealmente i suoi straordinari Anni Ottanta, mentre il mondo stava vivendo una drammatica espansione dell’AIDS, forti tensioni politiche e continue minacce di una guerra nucleare. Il disco non parla di politica, almeno non in maniera diretta, ma si muove intorno a essa, se ne nutre con piglio sornione, se ne tiene a distanza di sicurezza. Prince non si fida di chi sostiene che si possa danzare mentre fuori c’è l’apocalisse, e osserva con sospetto quella visione dei fatti.

Anche oggi ci troviamo, per motivi neppure così tanto diversi, vicini all’apocalisse. Ingiustizie sociali, razzismo dilagante, un’epidemia in corso e battaglie infinite per i diritti civili. E cosa avrebbe cantato Prince della polizia di Minneapolis, la sua città natale, che si è resa protagonista del brutale assassinio di George Floyd pochi mesi fa? La produzione di Prince è sempre stata politica nella misura in cui sembrava non esserlo. Prince voleva che fossero la musica, il canto e la liberazione del corpo i mezzi di protesta, come già era stato per tanta musica afroamericana. Lo straordinario doppio “Sign o’ the Times” (dove la “o” in realtà è un simbolo ma può essere letto come abbreviazione di “of”) giunse in un momento cruciale per l’America tutta e per Prince, che aveva sciolto i suoi Revolution e si preparava a iniziare una nuova, l’ennesima, fase della propria carriera.

Le sedici canzoni del disco sono pop zuccheroso e sublime, funky sexy e graffiante, blues e soul primigeni e intriganti, ballate romantiche seducenti e poetiche. È un concentrato di temi e di stili, una summa poetica (o giustizia poetica?) dei suoi gloriosi Anni Ottanta, una ironica lapide a ciò che probabilmente non sarebbe più stato, perché senza dubbio Prince, pur rimanendo anche in seguito uno dei più grandi performer di sempre, non avrebbe dato alle stampe altri album in studio di questo valore. Per tutti questi motivi, oltre che per la sua clamorosa qualità musicale, “Sign o’ the Times” è davvero un segno dei tempi, non solo dei suoi ma persino dei nostri.

Dopo le brillanti ristampe di “1999” e “Purple Rain”, uscite rispettivamente nel 2019 e nel 2017, mancava una degna visione retrospettiva nei confronti di “Sign o’ the Times”, l’altro album perfetto degli ‘80s di Prince. E gli archivi di Prince sono, in questo senso, persino più generosi. Oltre a raggruppare, infatti, tutto il materiale pubblicato da Prince nell’87, la ristampa raccoglie tantissime versioni alternative di brani, early demos, mix differenti, tracce scartate e validissimi show. Nel 1986 Prince aveva in testa un album collaborativo con due membri della sua Revolution, Wendy e Lisa, ma abbandonò presto la cosa. Lavorò tantissimo in studio, producendo pezzi che avrebbero dovuto far parte dei progetti “Crystal Ball”, “Camille” e “Dream Factory”, tutti quanti abortiti. “Sign o’ the Times” nacque, quindi, come un disco solista di Prince. Solo tre tracce hanno dei co-scrittori e nei diversi brani Prince suona quasi tutti gli strumenti, cosa che non accadeva da “Dirty Mind” e “Controversy”, usciti rispettivamente sette e sei anni prima.

La ristampa di “Sign o’ the Times”, poste queste fondamentali premesse, mostra con perizia e chiarezza il processo creativo che ha portato alla sua nascita. Si segnalano una versione, risalente addirittura al ’79, di “I Could Never Take the Place of Your Man” con curiosi accenni New Wave, una splendida “Witness 4 the Prosecution” che non avrebbe sfigurato nella tracklist finale del disco, e il mix 7-inch di “Crystal Ball”, che trasforma i caotici dieci minuti della versione integrale in una cavalcata coerente e avvincente. Degni di nota sono anche una “Forever in My Life” piuttosto diversa dalla forma che avrebbe assunto sul disco e alcuni brani tratti dai progetti citati poco fa, come la eccezionale “It’s a Wonderful Day” e una “Shockadelica” in due versioni intriganti e radiose. E non può passare inosservata “Can I Play with U?”, registrata insieme a Miles Davis, seducente e incerta.

Prince organizzò un tour di supporto al disco in Europa ma non negli Stati Uniti, scelta bizzarra ma rivelatrice. Il disco, infatti, aveva venduto poco negli USA e Prince aveva già altri progetti in testa. Tenne trentaquattro show in Europa e una volta tornato negli USA si diresse subito in studio. L’ottimo concerto di Utrecht (20 giugno ’87) viene qui pubblicato integralmente e mostra con quanta spigliatezza e spontaneità Prince si districasse tra materiale recente e repertorio passato, dimostrando di saper gestire con precisione e accortezza una band per larga parte nuova. Il 31 dicembre ’87 Prince avrebbe tenuto uno show di beneficenza al Paisley Park in Minnesota, una one-off performance filmata professionalmente, inserita nel DVD compreso in questa ristampa. Lo show contiene anche un’esecuzione insieme a Miles Davis, che partecipa a “It’s Gonna Be a Beautiful Night”. È la conclusione perfetta di un percorso trionfale, gli Anni Ottanta di Prince, che dal sintetico e grintoso “Dirty Mind” conduce al massimalismo lisergico di “Sign o’ the Times”. Le situazioni che resero inquieta la sua creazione sono forse cambiate ma non certo scomparse. Chi a quei tempi vedeva la fine vicina la vede vicina anche oggi. Le stesse piaghe di allora infettano il mondo anche adesso. Nel 2015 Prince avrebbe cantato che «If there ain’t no justice, then there ain’t no peace». Per questo “Sign o’ the Times” è rilevante anche oggi.

(Samuele Conficoni)