WIRE, “Mind Hive” (PinkFlag, 2020)

La corsa dei Wire non accenna a rallentare. Dopo sedici album ufficiali – dei quali i primi tre capolavori del rock tutto – il gruppo capitanato da Colin Newman suona ancora fresco e ricco di idee con la pubblicazione di un disco gemello dell’ottimo “Silver Lead” del 2017, ma se vogliamo più cupo e introverso: nella varietà musicale di “Mind Hive” si trattano gli stessi insormontabili problemi, dall’abbrivio di “Be Like Them” (retta da chitarre heavy in cui si staglia la voce marziale di Newman) alla chiusura di tastiere ambient in “Humming” (“I can’t quite remember/When it went wrong/Someone was humming/A popular song“).

“Cactused” è il singolo di lancio, con una vena power-pop simile a “Short Elevated Period” o “Ex Lion Tamer”: mi ha ricordato le sonorità dei Sonic Youth negli anni novanta. “Primed and Ready” torna più indietro ai Cure di “Kiss Me, Kiss Me, Kiss Me”; come la successiva “Unrepentant” vede Colin Newman alla dodici corde acustica, a mettere in risalto profondità e spazialità dei due brani.
In “Oklahoma”, scritta dal bassista Graham Lewis, si torna alle atmosfere glaciali e futuristiche di “The Ideal Copy” (1987) mentre “Primed And Ready” è un nuovo classico del migliore post-punk, dove eccellono i synth del polistrumentista (ma chi non lo è, nella band londinese) Matthew Sims.

Infine non si può tralasciare “Hung”, in cui i Wire sperimentano per otto minuti con il kraut e il noise in versi tanto ermetici quanto significativi del momento attuale, “The clouds were high/And the jury was hung/In a moment of doubt/The damage was done/Trust was lost/And the wheels had spun“.
A riprova che la classe non è acqua, pure ad una certa età.

73/100

(Matteo Maioli)