BBV No. 42: SWANS, “Leaving Meaning” (Young God / Mute, 2019)

Si apre con questo disco ufficialmente una nuova pagina nella lunga storia degli Swans e della carriera professionale di Michael Gira dopo la fine di quell’epoca che va dal 2010 al 2017 e che alla pari del decennio precedente, gli ha regalato gloria e riconoscimenti. La rivoluzione qui si compie definitivamente con l’assunzione da parte di Gira di un format più fluido rispetto al passato stando alla composizione del gruppo. Tanto è vero che gli Swans a questo punto si può dire non abbiano in effetti una formazione definita. Con “Leaving Meaning” gli Swans si completano di volta in volta con un numero variabile di collaboratori: tra questi The Necks, Ben Frost, Anna e Maria von Hausswolf, ovviamente Jennifer Gira. Ma questi sono solo alcuni dei nomi ospirati nelle dodici tracce di un album che al solito ha una struttura “colossale” e si compone di pezzi che hanno la durata di almeno sei-sette minuti.

Michael Gira aveva fatto le prove qualche mese prima con la pubblicazione di “What Is This?”, una edizione limitata in 2.500 firmate e numerate a mano e che ha avuto la doppia finalita di funzionare come “demo” per il lavoro definitivo oltre che per raccogliere i fondi necessari alle registrazioni “vere”. Alcune di quelle canzoni, evidentemente e opportunamente riviste e ri-registrate , fanno poi parte anche di “Leaving Meaning” e oserei dire che ne costituiscono il cuore. La prima che viene da menzionare è “The Hanging Man” che è la canzone che colpisce più di tutte a un primo ascolto l’ascoltatore, un pezzo che si costruisce su una vigorosa linea di basso e si compie in dieci minuti di sperimentalismo post-punk interpretrato con una specie di recital allucinato da Gira che sta a metà tra gli Einsturzende Neubauten e la psichedelia texana degli anni sessanta.

Sullo stesso filone ci metterei “Sunfucker”, che anzi accentua ancora di più il carattere ossessivo, raggiungendo vette cyberpunk e post-industrial, la tagliente wave di “Some New Thing”, le inquietudini “Nathan Adler Diaries” di “My Phantom Limb”. Ma “Leaving Meaning” è un disco pieno di sorprese: in fondo il resto delle canzoni appare coniugare tutti quelli che sono gli aspetti apparentemente “controversi” e in contrasto tra loro dell’animo di Michael Gira.

Per esempio “The Nub” e la bellissima “It’s Coming It’s Real” e “Why Is This?” rievocano il carattere più sacrale delle composizioni del leader degli Swans, con “Amnesia” e la title-track soprattutto, sembra persino di sentire il migliore Roy Harper degli anni settanta, mentre già nella stessa “My Phantom Limb” cogliano alcune somiglianze con il cantautorato di Nick Cave e “Annaline” sembra uscita fuori da “The Good Son”.

Alcune delle tracce, va detto, sono recupero di materiale già proposto in varie forme da Gira nel corso degli anni, anche se il lavoro nel complesso, pure dato il nuovo format e assetto de gli Swans, si può considerare in tutto e per tutto originale. Secondo me, sebbene i puristi e quelli che si sono formati all’insegna del sound della band nell’ultimo decennio potranno non essere d’accordo, questo qui è un grande disco e esalta appieno il suo lato artistico. Lo considero persino una felice sorpresa, perché non è sicuramente facile cambiare tutto (soprattutto quando qualche cosa funziona), rimettersi in discussione e fare centro. Lui ci è riuscito. Con buona probabilità siete davanti a uno dei dischi dell’anno.

79/100

Emiliano D’Aniello