[aapoc] Cecily Brown, a Napoli la mostra “We didn’t mean to go to sea”

Mark Hartman portrait Cecily Brown

E’ allestita nelle sale della sede a Napoli della Thomas Dane Gallery la personale di Cecily Brown (Londra, 1969; vive e lavora a New York, cecilybrown.com) dal titolo We Didn’t Mean to Go to Sea, tratto dal settimo romanzo della serie per ragazzi Swallow & Amazons, scritta da Arthur Ransome: un improvviso banco di nebbia aleggia sul letto di un fiume, senza lasciare alla barca a vela Goblin nessun’altra speranza se non quella di essere trasportata dalla corrente verso il Mare del Nord. In senso figurativo e letterale, la nebbia evoca improvvisazione accompagnata da un senso di confusione e spavento.

La Brown realizza dipinti, pastelli e acquerelli raffiguranti naufragi, con una straordinaria sensibilità verso tematiche molto attuali. Percorrendo le sale della mostra ci si imbatte in una narrazione ed una rappresentazione contemporanea di opere che attingono ai dipinti di diverse epoche, in un arco temporale che va dal Romanticismo francese ai giorni nostri.

La prima sala ospita una serie di disegni, The Sirens and Ulysses (after William Etty), (2018), i quali fanno diretto riferimento all’omonima opera di William Etty, in cui si nota un melodico ed estasiante canto delle sirene e la sofferenza di Ulisse e dei suoi compagni. Seguono la serie, Bather with Cops, che riprendono la polemica dell’agosto 2016 quando la polizia di Nizza fece spogliare una donna che indossava il burkini in spiaggia.

Promenade

Nella seconda sala, il dipinto The wine faced sea, è caratterizzato da pennellate ricche e sensuali dai toni vibranti. Emerge un impianto figurativo che rievoca l’opera del pittore francese ThéodoreGericault, La zattera della medusa (1818-19). Da un punto di vista stilistico, un sottile fil rouge lega l’opera della Brown all’Espressionismo astratto di Willem De Kooning, accomunati da una trasfigurazione violenta e di una estensione del colore dinamica e decisa. L’artista si allontana dal realismo, divenuto sempre più nascosto, evidenziando singoli elementi sulla tela, dalla imbarcazione ai frammenti di naufraghi e del mare.

Nell’opera The last shipwreck, ispirata alla Battaglia di Scio, (1824), del pittore Eugène Delacroix, pennellate caotiche e violente tendono a distruggere ogni fattore compositivo. Si creano nuovi equilibri fra forma e colore, fra ritmo e armonia, attraverso un costante dinamismo che restituisce una realtà crudele e drammatica del naufragio.

L’evento tragico diventa cosi allo stesso tempo un episodio temporale causa di rovina, come anche una metafora ultima di complessi. Le altre due tele, We Didn’t Mean to Go to Sea e Black Shipwreck chiudono il percorso espositivo su questa tematica. Nella prima opera si assiste alla descrizione  della barca a vela Goblin trascinata verso il Mare del Nord; nella seconda, invece, una apparente tranquillità descrive l’affondamento già avvenuto, caratterizzata da campiture di colori scure che infondono sentimenti di rassegnazione.

Nelle sale successive, si focalizza l’attenzione su una figura ripresa più volte nella storia della pittura, I bagnanti. Questa esigenza di ritrarli, (non solo con i disegni), nasce dal caso mediatico del burkini in Francia nel 2016, con la donna con il velo in testa e il corpo avvolto in una tunica.

Bather with Cops

L’attenzione non è rivolta soltanto alla donna di fede musulmana sollecitata dalla polizia affinchè sfilasse il burkini, ma anche alla reazione degli altri bagnanti presenti alla scena, di totale indifferenza e di diverso orientamento culturale e religioso. Crea in questo modo un corto circuito visivo che riflette sullo scontro tra civiltà, che ripropone il susseguirsi dei cambiamenti sociali e politici attuali, facendone trasparire la storia: le prime migrazioni, le crisi geopolitiche, ambientali e  sociali.

Non a caso nel dipinto, Promenade, è raffigurato un frammento di barriera di sicurezza che rimanda alla strage terroristica del camion sulla promenade des anglais di Nizza. E’ il simbolo delle barriere culturali e sociali dei popoli, della privazione della libertà e della paura che traspare.

E dal mondo della musica, invece, l’artista attinge per realizzare, Sirens in Ladyland, tratta dalla copertina dell’album Electric in Ladyland di Jimi Hendrix del 1968. La prima versione del disco mostrava una foto di Linda Eastman (poi compagna di Paul McCartney) con 19 donne nude di ogni razza e colore.

Molti negozi si rifiutarono di esporre il disco a causa della censura verso il genere femminile e fu sostituita da una foto più tradizionale con Hendrix in compagnia dei suoi musicisti. Anni dopo, lo scatto verrà riabilitato.

Nudi, bagnanti, sirene e naufraghi, sono i soggetti preferiti dalla Brown per descrivere  “visioni parziali” di un prisma socio-politico, teatrale e metaforico, una ricerca che mira ad una integrazione culturale e sociale, normale e naturale.

Black Shipwreck

Info mostra

  • Cecily Brown |We Didn’t Mean to Go to Sea,
  • fino al 20 luglio 2019
  • Thomas Dane Gallery
  • via F. Crispi 69, Napoli
  • +39 081 1892 0545-naples@thomasdanegallery.com
  • Tuesday to Friday 11am-1:30pm and 2:30pm-7pm – Saturday 12-7pm -Monday by appointment