FRAKKUR, “2000-2004” (Krunk, 2018)

Ci si prova sempre, ma è impossibile catalogare e analizzare il triplo disco di Frakkur (che per comodità chiameremo Jònsi).

Il triplo album è arrivato e si posiziona in un territorio che spazia tra la playlist e lo stream of consciousness. “2000-2004”  è da visualizzare come un catalogo, una lista di suoni e di loop.
La sensazione per l’ascoltatore, e probabilmente anche per il compositore, è quella di trovare una scatola in cantina e aprendola, dopo tanto tempo, tirare fuori  tutta una serie di cose dimenticate e inaspettate, anche per chi magari le aveva composte.

Il lavoro, lasciando stare le declinazioni e i singoli momenti richiamati all’interno della raccolta, è esattamente come ci si può immaginare.
La sensazione è quella di trovarsi sul campo centrale del Roland Garros e vedere, per l’ennesima volta, Nadal alzare la Coppa dei Moschettieri ( nome del  assegnato al vincitore  dello storico  torneo parigino).

Il fragile equilibrio di un artista che ha costruito con i Sigur Ros miti, leggende e ha rappresentato l’epopea di una terra come l’Islanda,  è raccontato e spiegato in questa serie di suoni e emozioni.

Jonsi è un artista discreto che  riesce ad essere  persona e personaggio nel suo viaggio assolutamente unico, facendo passare anche questa raccolta di idee come un’ opera necessaria per mettere un tassello in più.

Gli anni passati non vengono celebrati in modo roboante ma con una ricerca di distacco attraverso spunti, fraseggi e tintinnii. Alla base di Frakkur non c’è la musica ma un’idea di fare musica.

I pezzi più interessanti sono quelli che sembrano prototipi, studi ambientali come quelli campionati da Bjork negli ultimi lavori, per citarne alcuni “SFTLB1”, “PP7” o “SFTLB7”.

Il set non è un ascolto necessario o obbligatorio, soprattutto per chi non conosce la storia di Jonsi e dei Sigur ros, ma allo stesso tempo il triplo disco può essere una mappa insostituibile e ulteriore per i fan.

All’interno della seconda parte del lavoro c’è anche un tentativo di rendere questi pezzi come  colonne sonore del tempo, tuttavia non sempre il “campo lungo cinematografico” di Jonsi funziona.

Per essere più snelli possiamo dire che quando Jonsi  si accende in qualche incursione elettronica di troppo, probabilmente studiando da Aphex Twin,  non sempre il risultato è super convincente.

Tuttavia se consideriamo questo lavoro come uno studio etnico e psichico, possiamo benissimo aprirci ancora di più alla vasta produzione dei Sigur Ros, e non solo.

Un interessante articolo uscito sul Paris Review scriveva nel suo prologo che “Fables are literature before literature was even baby”: decontestualizzando la citazione possiamo dire che questo lavoro va usato per capire l’infanzia delle canzoni dei Sigur Ros e probabilmente anche l’infanzia di quello che da oggi in poi sarà Jonsi.

Ci piace seguire anche oggi Oscar Wilde che diceva che è molto più saggio prendere piuttosto che mendicare, perciò ci riempiamo le tasche cogliendo il buono di questo triplo lavoro. “L’Odissea jonsiana” in  istanti  profondamente diversi riesce a fluire e incanalare una moltitudine di sensazioni.

La molteplicità non è mai immediatamente chiara agli ascoltatori; dovremmo prenderci un periodo lungo come il “2000- 2004” prima di ritrovare una strada chiara all’interno di una struttura così complessa.

Le vie di uscita dal set sono due: usare il progetto Frakkur come psicanalisi oppure potete comodamente chiamare un vero psicanalista dopo l’ascolto.

66/100