ARCTIC MONKEYS, “Tranquility Base Hotel + Casino” (Domino, 2018)

Il gruppo britannico più amato del nuovo millennio torna in una veste completamente nuova, tanto misteriosa quanto incantevole, con il sesto disco “Tranquility Base Hotel + Casino”, prodotto ancora da James Ford ma registrato nell’occasione tra Los Angeles, Londra e Parigi con una strumentazione allargata in cui si distingue la chitarra di Tom Rowley dei Milburn. A metà strada tra un concept album e la soundtrack di una pellicola di fantascienza, è un lavoro destinato a far parlare di sè a lungo e a spiazzare i fan, mancando dell’immediatezza di “AM” o “Favourite Worst Nightmare” a favore di un universo musicale e lirico (quasi) inedito per le scimmie artiche, che necessita di pazienza e curiosità da parte dell’ascoltatore.

La frase di apertura “I Just Wanted To Be One Of The Strokes, Now Look At The Mess You Made Me Make” è con il senno di poi il teorema dell’intero album – nonchè una presa di coscienza dello stesso Alex Turner. Ricevuto in dono per il suo trentesimo compleanno un pianoforte Steinway, inizia a scriverci bozze di canzoni con in mente l’opera in studio di Brian Wilson e Phil Spector, per poi riarrangiarle con Jamie Cook e il resto della band. Ne scaturiscono undici perle, storie senza tempo e genere definito che avvalorano un talento cresciuto inesorabilmente dagli esordi.
Così “Star Treatment” lo rivela come un novello Sinatra alle prese con una ballata glam di Ziggy Stardust (“Maybe I Was A Little Too Wild in The 70’s“), mentre in “One Point Perspective” ci si trasferisce nella Chicago di Curtis Mayfield grazie all’effetto del Vako Orchestron. “The World’s First Ever Monster Truck Front Flip” – sfido chiunque a memorizzare questo titolo! è un riuscito incontro tra le sonorità raffinate dei Mercury Rev e la metrica di Paul McCartney, con una delle migliori interpretazioni vocali di Turner; la title track di contro sembra uscire da un lounge club degli anni ottanta, linea di basso sinuosa e atmosfere à la Style Council.

Non mancano gli episodi che ci restituiscono degli Arctic Monkeys più tradizionali come l’ottima “Science Fiction” e il primo singolo “Four Out Of Five”, vicine nella scrittura a brani quali “Secret Door” e “Piledriver Waltz”. Il livello si alza ulteriormente quando le chitarre in fuzz si ergono a protagoniste: in “American Sports”, che suona come dei Pulp affogati nella psichedelia, e nella lennoniana “She Looks Like Fun”, densa di stop-and-go e con un brainstorming al limite del nonsense che mi ha ricordato “Fitter Happier” in “Ok Computer” (“Cheeseburger / Snowboarding / Bukowski / Dogsitting / Screwballing / New Order”). Chiudono in grande stile le note malinconiche di “The Ultracheese” condite della pedal steel di Ford, in cui sembra che l’album stesso si guardi allo specchio (“What A Death I Died Writing That Song, Start To Finish With You Looking On“).

Passaggio meditato come mai fino ad ora nella strada degli Arctic Monkeys, per definire “Tranquility Base Hotel + Casino” “rubo” il nome dell’album dei forlivesi Tunguska del 2016 : A Glorious Mess.

87/100

(Matteo Maioli)