[#tbt] Layne Staley, l’inferno dentro

Annualmente i giorni 4 e 5 di aprile sono sempre brutti: nel primo (il 4.4.) è sempre doveroso un ricordo di Enrico Fontanelli degli Offlaga, che prima che un grandissimo musicista era anche un amico, nel secondo (il 5.4) veniamo sommersi sui social da foto, frasi e canzoni dei Nirvana, perché Kurt Cobain ci ha lasciati in quel giorno.
Ed è costante che tutti gli anni venga decisamente meno ricordato il buon Layne Staley, forse perché fu trovato cadavere nel suo appartamento il 19 aprile (2002), a due settimane di distanza dalla morte, e non in quel 5 aprile che invece gli annuari fissano come data ufficiale di dipartita.

Me ne rattristo sempre di questa noncuranza con cui passano gli anniversari di Staley. Certo la sua figura non è paragonabile a quella di Cobain per impatto sia musicale che di immagine che ha lasciato ai posteri, ma la sua caratura vocale era talmente straordinaria e la sua vicenda umana triste e fragile a tal punto che è davvero un peccato metterlo nel dimenticatoio.

Se penso a Staley il viso che si staglia è quello già malato e sofferente dell’Unplugged, mentre lo sguardo lo associo – non so perché – a quello del cane sul disco omonimo degli Alice in Chains, album che tutti chiamano “Tripod” per via proprio del cane a tre zampe. E’ una delle espressioni più malinconiche che abbia mai visto, quella di Sunshine (è il nome del cane, che apparteneva al chitarrista Jerry Cantrell).

Perché così sembrava Layne, con quell’espressione persa nonostante il successo (o forse proprio a causa del successo).
Insomma, con “il cielo accanto e l’inferno dentro”.

Like the coldest winter chill
Heaven beside you… Hell within

(Paolo Bardelli)