[Lituania Calling]: The Blackhorned Moon Festival, il secondo giorno

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Sabato 27 Agosto. Ci prepariamo per la giornata più calda del festival: calda in tutti i sensi, per fortuna il clima ci supporta, sole splendente sui boschi sempre più verdeggianti. Le band sono in pista già di prima mattina, non è difficile incontrare i Keltika Hispanna che passeggiano tra uno stand e l’altro, gli Zalvarinis che alacremente partecipano al coordinamento organizzativo del festival, la birra scorre a fiumi ma l’atmosfera continua a essere molto rilassata, piacevole. Non nascondiamo che ci stupisce che nel giorno di massima affluenza, quello dell’evento Laibach, il pubblico continui ad essere fortemente eterogeneo: famiglie, ragazzi, artisti, tutti vivono in assoluta spontaneità e genuinità. L’ambiente rilassante favorisce l’interazione pacifica e non si vive mai una tensione di aspettativa pre-show cui siamo più abituati.

Ci godiamo un po’ di interazione con la natura e ci prepariamo per avvicinarci al primo palco per il concerto degli I.VT.K.Y.G.Y.G, Lituani. Siamo incuriositi, pre partenza abbiamo ascoltato qualche pezzo su youtube e vogliamo vederli all’opera, live. Salgono sul palco, sono tanti, una band storica, considerata anche l’età dei componenti, mettono al centro del palco il loro bambolotto creepy e cominciano.

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La folla si scatena, l’energia è tantissima così come la competenza musicale, hanno molta esperienza e si percepisce immediatamente. Sul palco sono un tornado, un flusso rock-punk-progressive. Li immortaliamo e poi ci godiamo lo spettacolo, un inizio giornata rock nel bosco è stimolante e decisamente la carica che ci voleva per iniziare. Come da abitudine la scaletta ci sorprende, con il succedersi degli Hexvessel, band anglo-finnica che ha debuttato nel 2011 ed ha accumulato un susseguirsi di successi inclusi due grammy awards. Gli Hexvessel sono voce, chitarra, percussioni, basso, strumenti etnici (campanelle), tromba e violino. Avvolti da una scenografia magica, che richiama il mondo delle Terre di Mezzo, propongono un forest-folk-rock avvolgente e dinamico. Dalla Cornovaglia a Tampere sono stati adottati soprattutto dal mondo metal anche se si possono attribuire più alla scena neofolk/folk-metal affondando le radici nei Pink Floyd.

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Davanti a un pubblico indubbiamente già preparato ad accoglierli, gli Hexvessel propongono estratti dal loro ultimo album “When we are death”, pubblicato quest’anno, che ottiene un ampio apprezzamento. Personalmente non siamo trascinati da questo genere ma non possiamo non riconoscere la spettacolarità e l’estrema compenetrazione tra scenografia e musica durante la performance che possiamo definire piacevolmente celtic-fantasy mentre il cielo inizia a inscurirsi.

Attraversiamo il bosco per raggiungere il palco due, che noi abbiamo rinominato “l’angolo delle sorprese”, dove si esibisce una nuova promessa della scena lituana, i Solo Ansamblis, una band di quattro elementi con l’album di esordio “Roboxai”. Un album che ha sbancato, il successo è totale e anche il pubblico sotto palco lo dimostra, lo spazio è gremito e le luci pulsate a laser stagliano sul palco quattro siholuettes dall’ipnotizzante presenza scenica. La musica dei Solo Ansamblis coniuga testi dai contenuti della tradizione lituana che vengono declinati su note post-punk ed elettroniche, realizzano un esperimento sad dance e anche un po’ techno-rave anni ’90. I suoni pulsati di Jouda Jouda Jouda Naktis scatenano le danze e invorticano in un vero e proprio show, di matrice giovane ma piuttosto promettente.

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Poco dopo ecco un’altra rivelazione, gli Sheep Got Waxed. Un trio che getta le basi per un jazz innovativo che per il mainstream musicale contemporaneo significa, elettronica. Chitarra, sassofono e batteria si mescolano con suoni elettronici, sono giovani artisti che sfuggono alle regole canoniche della musica ma che se proprio dovessimo attribuire a un genere potremmo definirli techno-jazz. Questo poco importa. L’energia c’è tutta, la sicurezza sul palco non manca e inevitabilmente l’abilità nell’amalgamare generi così diversi crea un mix piacevole, “roccheggiante” ma che poi con la sua componente techno induce lo spettatore a ballare, saltare e buttarsi sotto cassa come si dice in gergo.

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Inizia il countdown, il gran finale dei Laibach si avvicina e decidiamo di tornare in fretta al palco principale per non perdere la giusta postazione e goderceli fino in fondo. Prima di loro si esibiscono gli Zalvarinis che, ancora una volta, dimostrano una notevole capacità e professionalità nello scaldare il pubblico con i loro ritmi pagan folk metal, di cui abbiamo già copiosamente parlato in precedenza.

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Quando pensiamo che stiano per uscire i Laibach però la suspance aumenta perché c’è un altro, ultimo, gruppo spalla: Theodor Bastard. Nome inglese per una band russa che viene accolta dalla calorosità dei connazionali partecipanti al festival. I Theodor Bastard vengono da San Pietroburgo e hanno una tradizione musicale piuttosto consolidata dal 1996. La formazione nasce in ambiente metal ma con l’ingresso della cantante cambia orientamento e si sposta su una corrente che, come tante altre band in precedenza non si può ridurre a un solo genere musicale ma amalgama insieme trip hop, neo folk, ambient e mystical. La scenografia che li accompagna contribuisce a consolidare questa atmosfera proiettando grafiche naturali e magiche, ridisegnate in stile animazione. Il mix sonoro è prodotto da un sapiente uso strumentale di sintetizzatori, theresin, strumenti etnici (djambé, didgeridoo, cimbali, udu, caxxi, corni tibetani e cajon) intercalati a violoncello e arpa. Il risultato è indubbiamente onirico e anche piuttosto dark.

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Siamo in dannato ritardo sulla tabella di marcia, visto che i Theodor Bastard hanno avuto problemi durante il soundcheck…così tutto ha inizio con un’ora di ritardo,l’adrenalina sale, il pubblico ormai insofferente per l’attesa comincia a fischiare. Ecco, le luci ci annunciano che qualcosa sta per accadere, sale il primo membro della band che si mette davanti al suo sintetizzatore e poco dopo lo segue il secondo, e ci dedicano una intro elettronica,distorta ma ristabiliscono l’ordine e il pubblico si calma. Poco dopo ecco l’ingresso magistrale, teatrale della band. Buio sul palco e si intravedono Milan Fras e la bellissima Mina Spiler, il batterista dà il via e si comincia! la Propaganda-Laibach ha inizio, come vi abbiamo già accennato nel primo articolo su di loro l’impatto è forte, dal vivo la voce di Milan roca, cupa e decisa ammonisce lo spettatore mentre Mina si contrappone con una voce pulita e davvero potente, per fortuna che una gran voce come la sua non sia stata data in pasto alla musica pop commerciale.

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Durante tutta la performance si alternano le immagini, protagoniste indiscusse, oltre alla band, da cinema d’avanguardia anni ’20, altre più dirette ed esplicite che non lasciano spazio ad immaginazione. La cosa che attira la nostra attenzione è quando Milan chiede la partecipazione del pubblico, cosa che potremmo definire normale durante una performance musicale, ma in realtà tra le immagini che scorrono e la sua voce tutto prende sempre più le vesti di un’adunata politica.

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Vengono invitate queste folle ad applaudire, a intonare versi ma se questo si aggiunge alle immagini che parlano di dolore o paura o allusioni sessuali e ancora a messaggi scritti, espliciti, di qualunque forma, allora si comprende che il pubblico in realtà é come un protagonista ignaro, è convinto di essere la parte conscia dell’evento ma in realtà i Laibach giocano con noi, urlano frasi ironico-sarcastiche come “welcome Europe” e la gente risponde contenta… come abbiamo detto, nel primo articolo, giocano con la propaganda e con l’allusione politica, stimolano la reazione. Quindi se possiamo concederci questa considerazione, potremmo definire il concerto una manifestazione propagandistica in piena regola. Ci sarebbe molto da dire su questa band e sui vari aspetti che tocca in maniera tanto geniale quanto sconcertante ma lasceremo a voi il giudizio…perché l’invito è quello di andarli a sentire, di godere del loro spettacolo, altrimenti siate consapevoli che vi sarete persi un pezzo di storia della musica contemporanea. Grazie XIX Menuo Judaragis.

(Serena Cantoni, Marco Quaresima)