MARISSA NADLER, “Strangers” (Sacred Bones/Bella Union, 2016)

marissa-nadler-strangers “Strangers” è il settimo album per la cantautrice Marissa Nadler, il primo che ascolto per intero e appunto per colpa (o grazie) a questo sarò superpartes nel riconoscere pregi e difetti dell’ultimo lavoro della chanteuse bostoniana classe ’81, una vera rivelazione per la critica nell’universo musicale di nuovo millennio.
Un confronto per me possibile è con il precedente “July” di inizio 2014: il produttore è lo stesso Randall Dunn (Earth, Sunn O) e la scrittura della Nostra non si discosta molto nelle intenzioni, con temi di vita, morte e perdita sempre in evidenza; quello che cambia, o si evolve per meglio dire, è un sound che guadagna in spazialità e temporalità, mostrando molte più versioni dell’artista.

Rispetto a quel disco infatti, molto legato ad un folk ridotto all’osso di una chitarra acustica nei brani, qui le canzoni si fanno espressione del sogno, del mistero e dell’emozione cantata sottovoce. Notiamo la cura messa in alcuni refrain capaci ora di scolpirsi nella memoria dell’ascoltatore – anche esagerando come succede in “Janie In Love” – e pure negli arrangiamenti, con le tastiere tra psych e noir del singolo “Katie I Know” dove sembra di ascoltare Hope Sandoval che canta un pezzo dell’ultimo Nick Cave. Da sottolineare inoltre l’utilizzo di partiture orchestrali robuste ma non troppo invadenti nella canzone sopraccitata come nella dolente “All The Colours Of The Dark”; mentre una chitarra distante e in overdrive fa capolino nei due apici qualitativi del disco a giudizio del sottoscritto, ovvero la title track e “Hungry Is The Ghost”. Episodi simili nel mood al nuovo repertorio dell’ex Everything But The Girl Ben Watt, con cui la Nadler ha collaborato proprio nell’ultimo “Fever Dream” pubblicato qualche mese fa.

Questo ultimo disco di Marissa Nadler si può riassumere in due facce della stessa medaglia: da un lato c’è la magnifica “Skyscraper”, con un cantato vaporoso e una melodia uscita da ere lontane secoli; dall’altro il brano catchy in slow motion “Nothing Feels The Same”, in cui pervade un sottile equilibrio tra blues e folk e dove chiara è la volontà di trovare una nuova fetta di pubblico. Magari i fan della prima ora di Lana Del Rey? L’essenziale “Dissolve” chiude “Strangers” nel modo più riconoscibile per chi ama e continuerà ad amare la musica di Marissa Nadler.

74/100

(Matteo Maioli)