LUCIUS, “Good Grief” (Mom&Pop, 2016)

lucius-good-grief Riecco i Lucius, quintetto formato a Brooklyn nel 2005 da due vocalist dalle rosse chiome, Jess Wolfe e Holly Laessig, e che si completa con Dan Molad, Peter Lalish e Andrew Burri. Il seguito di “Wildewoman” del 2013 – un buon album sotto influenza di rotonde melodie sixties arrangiate in chiave sintetica – si chiama “Good Grief” e già dai crediti presenta una grossa novità: a Shawn Everett (già producer di Weezer, Alabama Shakes e Julian Casablancas) viene affiancato il veterano Bob Ezrin, la cui carriera richiederebbe tanti articoli a sè stanti. Curioso magari questo aspetto, trovare uno dei creatori del suono obliquo e cupo di “The Wall”, “Killer” e “Berlin” al servizio di un progetto essenzialmente pop – traduzione: “proviamo a fare il salto di qualità”. Non tutto gira per il verso giusto: l’effetto sorpresa ci sta, come allargare il proprio spettro musicale è segno di crescita, ma qui difettano in numero le grandi canzoni.

Undici le tracce in scaletta, tre quelle davvero importanti e sopra la media del genere. Sono il brano di apertura “Madness”, dove un arrangiamento mutevole e ben scritto dal crescendo barocco si mette al servizio del refrain più immediato dell’album; ugualmente ottimo l’agile singolo “Born Again Teen” che mi ha riportato alla memoria alcune produzioni del recentemente scomparso genietto di Minneapolis tra anni 80 e 90. “Truce”, infine, ci regala – oltre ad un superbo duello tra synth ambientali e un basso pieno di groove – la migliore performance vocale delle nostre, tirando in ballo nomi cresciuti a pane e soul come Annie Lennox e Lisa Stansfield.

Il lato di “Good Grief” più vicino alla scena contemporanea è rappresentato “Something About You”, più prevedibile ma catchy al punto giusto, candidandosi ad highlight delle esibizioni dal vivo. Mettiamoci anche la doppietta “What We Have (To Change)” e “Gone Insane”, cori e tastieroni in cui lo zampino di Ezrin è evidente tanto quanto l’ombra di Florence Welch. La riflessiva e minimale “Dusty Trails” cammina in equilibrio sul filo delle cose da ricordare, perchè “Almost Makes Me Wish For Rain”, “Almighty Gosh” e “Better Look Back” sanno di già sentito, roba artificiosa, melodie che le Haim scriverebbero ad occhi chiusi. Classico disco di assestamento, il secondo lavoro dei Lucius può riuscire a catturare un pubblico versatile grazie a brani corali dalle tinte fosche.

68/100

(Matteo Maioli)