HÆLOS, “Full Circle” (Matador, 2016)

haeloscoverLa notte sta per finire, la città è vuota e i lampioni non fanno luce su nessuno, mentre poche automobili portano sul posto di lavoro i loro conducenti mattutini: è questa l’atmosfera che cercano di creare gli Hælos, trio composto da Arthur Delaney, Dom Goldsmith e Lotti Benardout.

L’unico luogo possibile da immaginare, ascoltando “Full Circle”, album di debutto della band, è proprio questo. Il momento perfetto per immergersi nelle atmosfere à là XX è la “quiete dopo la tempesta”, la luce dell’alba dopo una notte di frenesia. Proprio gli XX, insieme alla vecchia guardia del trip-hop (Massive Attack, Portishead), rappresentano le influenze maggiori del disco.
Per quanto riguarda gli strumenti utilizzati, per esempio: i pattern di batteria richiamano direttamente UNKLE e la sua Lonely Soul, mentre l’uso di due voci—un uomo e una donna— che si intrecciano, ci riporta al presente degli XX. Sono tali influenze che costituiscono il problema principale del disco, che non riesce a staccarsi dalle stesse.

Il risultato è infatti un copia/incolla di sensazioni e atmosfere che spesso riescono ad amalgamarsi e trovare un punto d’incontro, come in “Pray”, che apre il disco subito dopo l’intro. È in brani come questi che il gruppo riesce a dare dimostrazione dell’intensità di cui parla nelle interviste, che è quella che vogliono trasmettere.
Altrettanto frequentemente, però, il mix sopra citato perde di mordente e ad un ascolto ripetuto, annoia. Arrivati alla terzultima, “Sacred”, sembra tutto già sentito e risentito, come se avessimo già fatto ripartire il disco.

Un esordio “nì” per un gruppo che ha sicuramente ancora molto da dire e sta ancora trovando il modo giusto per farlo, perso tra influenze e citazionismo.

58/100

(Matteo Bordone)