SUN CLUB, “The Dongo Durango” (ATO Records, 2015)

Sun-Club-album-cover-560x560Da un po’ di tempo si vocifera che stia per esplodere un’altra grande bomba musicale a Baltimora: i Sun Club. La città dell’East Coast regala da tempo grandi artisti – Animal Collective, Beach House, Future Islands – e quindi per fare musica da quelle parti non bisogna certo eccedere con la modestia.

Sarà per questo che l’esordio di questo giovane quintetto fa di tutto per farsi notare. “The Dongo Durango” è infatti una giostra di suoni, ritmi e colori, allegra e sguaiata, solare e casinista, orecchiabile e impazzita. Un caos indie-tropical-psych-pop che dovrebbe avere tutte le carte in regola per ritagliarsi in poco tempo il giusto spazio di attenzione, anche per merito (o colpa?) di una produzione non molto lontana da band parecchio piacione: provatelo voi stessi, ascoltando un pezzo a caso del disco, e sentirete sicuramente qualcosa di familiare, dai Vampire Weekend ai Django Django, dai Vadoinmessico ai Local Natives, ai The Growlers.
Un disco in cui a fare la voce grossa è quindi quell’atmosfera surf e  tropicale di forever divertimento: sarà che sono parecchio giovani, ma ai Sun Club sembra importare poco altro del divertirsi sul palco, e far divertire chi c’è sotto. Ecco perchè tutte le canzoni di “The Dongo Durango” sembrano avere un unico compito, quello di far ballare spensierata la gente che le ascolta. Chissenefrega dell’innovazione, della ricerca di originalità. Poco importa se le canzoni si assomigliano tutte, tanto che risulta difficile sceglierne qualcuna di esemplificativa tra le dodici che compongono il disco.  Ci proviamo lo stesso, citando la tripletta “Summer Feet” / “Worm City” / “Beauty Meat” che magari tra qualche anno sarà capace di scaldare il pubblico di qualche festival importante.

“The Dongo Durango” è insomma un disco nato per far parlare di sé, per piacere a tanti, che prova a ridare vita ad un genere musicale che forse sta già cominciando a stancare. E in questo senso, è un disco che incuriosisce. Però molto spesso finisce con il replicare pari pari cose già ascoltate a lungo e per di più anni fa, e già con i primi riascolti svanisce il profumo di novità che porta con sè come tutti gli esordi chiacchierati. E in questo senso, è un disco che delude.
Ma tranquilli: finchè ci sarà da far festa andrà benissimo.

62/100

Enrico Stradi