LOW, “Ones And Sixes” (Sub Pop, 2015)

a1960823800_10Cos’hanno ancora da dimostrare i Low, arrivati a undici dischi all’attivo in ventuno anni di carriera? Nulla. Hanno già fatto tutto quello che c’era da fare per farci misurare la loro caratura artistica. Sarebbe un errore quindi aspettarsi qualcosa di sensazionale ad ogni nuova uscita. Ed è con questo spirito disilluso ma riconoscente che accogliamo questo ultimo album, “Ones And Sixes”.

Registrato in Wisconsin nello studio di Justin Vernon aka Bon Iver e prodotto da BJ Burton (recentemente al lavor di The Talles Man On Earth), “Ones And Sixes” sembra avere l’urgenza di far riemergere e rinvigorire l’essenza slowcore della band, che ultimamente era stata in parte accantonata per far spazio ad un percorso più orientato alla tradizione folk-rock americana.
L’opening track “Gentle” ci introduce infatti a quelle atmosfere gelide e inquietanti che ritroveremo per tutta la durata del disco: la drum machine pulsante e le distorsioni sottocutanee della chitarra segnano il tempo di una processione ansiogena di cui Alan Sparhawk e Mimi Parker si fanno cantori. Gli stessi versi, al limite del flusso di coscienza, ingrigiscono l’ambiente intorno: “gentle, battle, torture, stable and silence”. Della stessa sostanza sono fatte anche “No Comprende”, con il suo crescendo metallico, ma soprattutto “The Innocents” e “Landslide”, apocalittiche e per questo commoventi. Entrambe gareggiano al titolo di capolavoro dell’album: la prima con le voci angeliche della coppia che si stendono sopra una coperta noise di basso e chitarra; e la seconda, spaccata in due tra cadenze post-rock e crescendo eterei indirizzati ad una purissima estasi catartica.
Ma non c’è solo ghiaccio in questo album dei Low. Qualche episodio più caldo esiste, non sposta il baricentro, ma comunque si apprezza proprio per contrasto: è il caso di “Kid In The Corner” e soprattutto di “What Part Of Me”, che forse è il pezzo più pop mai scritto dalla band del Minnesota, così tanto che ad alcuni potrebbe addirittura non convincere. Che sia messa lì apposta, in mezzo al disco, per non finire congelati? Può essere.

E forse è proprio questa la misura di grandezza di questo album: “Ones And Sixes” è un disco glaciale, a tratti anche funereo, ma più lo si ascolta e più diventa capace di rivelare sensibilità e fisicità quanto mai umane. D’altronde quello che ormai chiediamo ai Low non è altro che essere loro stessi.

77/100

Enrico Stradi