AVI BUFFALO, “At Best Cuckold” (SubPop/Audioglobe, 2014)

PrintErano attesi al varco, gli Avi Buffalo. E noi eravamo impazienti di sapere se quel primo album omonimo fosse stato un fuoco di paglia o meno. Aveva 19 anni al tempo, mr. Avi Zahner-Isenberg, e a quell’età in quattro anni cambiano tante cose. Ci si può laureare, ad esempio.

Ecco, questo “At Best Cuckold” può dunque corrispondere, in un ardito parallelo, ad una laurea? Beh, con pieni voti no, ma se si discorre del classico “bel pezzo di carta” sudato, quello che può servire per proseguire il proprio cammino professionale, allora diciamo di sì. Insomma il sig. Avi, che per chi non lo sapesse è di fatto il titolare unico effettivo del progetto Avi Buffalo, ha evoluto il proprio suono con più pianoforte e arrangiamenti orchestrali e ha arrotondato qualche frequenza che prima rimaneva troppo evanescente, riuscendo a calibrare la penna su dei bozzetti “à la Belle And Sebastian”.

Questo, infatti, potrebbe essere considerato il primo e più importante merito (involontario) di Avi Buffalo, a ben vedere: coprire il vuoto lasciato dalla band di Glasgow che negli ultimi 8 anni ci ha donato un solo disco, prendendo le redini di quel pop lezioso tra malinconia e innocenza e trasportandolo dall’altra parte dell’oceano, sulle coste californiane (e ciò è davvero singolare!). Pioggia scozzese vs. sole californiano: stesso risultato.

E se il binomio iniziale è pienamente riuscito (“So What” e “Memories of You”), il resto di “At Best Cuckold” mantiene una buona tensione con l’unica pecca di una scontata e dylaniana “Two Cherished Understandings” e il picco di poesia di “She is Seventeen”, là dove gli Avi Buffalo riescono a tratteggiare un ipotetico trait d’union tra le ballate degli Smashing Pumpkins e la leggerezza degli Smith Westerns.

Dottor Avi Buffalo, la proclamazione della sua laurea ha avuto luogo, ma ora inizia la vera sfida, quella in cui dovrà dimostrare di valere molto oltre la buona tesi presentata.

70/100

(Paolo Bardelli)

foto in home di Renata Raksha