MUSHROOM’S PATIENCE, “Jellyfish” (Klanggalerie Records, 2014)

jfcTira aria internazionale in questo disco.

Quante volte avete letto questa frase e poi la brezza promessa ha spesso odorato di un fetore italico? Un lezzo che tende al melodramma, un continuare a nascondersi dietro il bel paese che non lascia spazio all’esplorazione delle idee. Non sempre però succede ciò. In “Jellyfish”, ultima fatica del gruppo romano Mushroom’s Patience, l’aria è malsana. Internazionale, certo, per via degli ospiti che vi partecipano (Stephen Mallinder dei Cabaret Voltaire, Chris Connely dei Ministry, Genevieve Pasquier, Peter Hope dei The Box e molti altri ancora) ma c’è anche il coraggio di osare, di uscire dagli stereotipi e di concepire un progetto che abbraccia un’idea di più ampio respiro. Allora ecco che possiamo davvero aprire i polmoni e respirare questa benedetta aria che sa tanto di vita vera, non necessariamente legata al nostro bel paese.

Eccelso nei suoni, nella produzione, nel suo essere folk che diventa urbano e poi apocalittico senza suonare però minaccioso, con quel passo lento che rende i tredici brani delle piccole discese negli inferi e risalite verso il bagliore di una luce artificiale. Pop sintetico, trip hop nuovamente credibile a distanza di due decadi e canzoni che rappresentano un percorso artistico inappuntabile. Dither Craf (all’anagrafe Raffaele Cerroni), pittore, musicista, fotografo è colui che dagli anni ottanta crede in questa creatura e non solo è riuscito a plasmarla alla sua idea di arte, ma è riuscito a rendere credibile la possibilità che un solo individuo si moltiplichi con l’aiuto di altri samurai pronti a morire per lui. Che siano essi compagni di bevute o idoli del responsabile del progetto.

Oggi questo è accaduto in “Jellyfish”, dimostrazione vivente che per essere internazionale il naso bisogna per forza metterlo fuori dalle solite quattro mura.

75/100

(Nicola Guerra)

13 marzo 2013

foto mushroomspatience.wordpress.com