JULIE’S HAIRCUT, “Ashram Equinox” (Woodworm/Santeria 2013)

201309211145-400-julie's_haircut_-_ashram_equinox_-_copertinaEsistono dal 1998, tra cinque LP e innumerevoli EP hanno prodotto svariate gemme toccando i filoni più trasversali slegati dai trend. Da più di un decennio il loro nome gira nei circuiti underground di mezzo mondo. Eppure nel 2013, in Italia tocca ancora ribadire o, in alcuni casi, chiarire agli ignoti la grandezza dei Julie’s Haircut. La band emiliana ha fatto tutto e il contrario di tutto senza mai perdere coerenza e qualità. Dagli esordi a metà strada tra indie rock americano polveroso e pop sixties alla quadratura del cerchio kraut-psichedelica degli ultimi lavori. Con gli incontri ravvicinati con Sonic Boom (Spacemen 3, Spectrum) che ha collaborato al quarto album e con un altro vate del calibro di Damo Suzuki (Can) con cui hanno suonato dal vivo. Dalla ricerca orientata alla melodia perfezionata ormai dieci anni fa con “Adult Situations” alla ricerca più orientata sulla ritmica e le atmosfere degli ultimi due pregevoli “After Dark My Sweet” e “Our Secret Ceremony”.

Tutto e il contrario di tutto. Apparentemente. Così quattro anni dopo arriva “Ashram Equinox”, presentato dal vivo allo scoccare dell’equinozio d’autunno, a dare nuove facce all’ineffabile creatura dei Julie’s Haircut. Dal titolo che rievoca scenari evidentemente indiani (ashram, ovvero luogo ameno degli eremi indù ma anche uno stadio della vita) si sarebbe portati a pensare a una svolta new age e contemplativa dei cinque. Non è così, anche se la copertina di Pasquale De Sensi contribuisce a delineare i contorni mistici di questo sesto LP. I titoli delle suite sono in qualche modo legati a motivi astrologici e cosmologici tra l’arcano e la mitologia della tradizione romana, indiana e cinese. Risulta persino difficile descriverla traccia dopo traccia, flash dopo flash, dal crescendo progressive dell’intro “Ashram” fino al piano desolante e gli agghiaccianti bagliori stellari della conclusiva “Han”. “Ashram Equinox” è a tutti gli effetti un’esperienza di distacco.

Di nuovo c’è la quasi scomparsa della voce persa tra consuete andature kraut, spunti simil-world e acidità di vario titolo. “Tarazed” è una liturgia ritmicamente vicina ad alcuni momenti di “Our Secret Ceremony”, così come “Johin” che accentua una virata dal retrogusto etnico che rimanda un po’ alle sperimentazioni dei newyorkesi Gang Gang Dance. La spettrale “Taarna” è invece un erede meno bastarda delle avanguardie teutoniche di fine anni Sessanta. La tetra “Equinox” è un’altra liturgia dalle sembianze poco rassicuranti, un rituale che intimorisce quasi all’ascolto. I cinque cerimonieri sembrano tutt’altro che intimoriti nell’osare, se non si fosse capito. Minutaggi mai eccessivi, “Sator” potrebbe andare avanti per delle ore e funzionare e invece si disperde nell’etere dopo nemmeno quattro minuti. I synth tolgono un po’ di spazio alle chitarre. Riecheggiano  Ash Ra Tempel e Popol Vuh, l’elettronica di Berlino e Monaco degli albori e come già nell’ultimo album , ovviamente i Neu! nelle fasi meno quiete, ma sono solo delle suggestioni, inevitabili.

La leggerezza e la naturalezza con cui i Julie’s Haircut svariano con classe e ricerca in meno di 45 minuti offrendo un viaggio gratuito tra mente e spazio, non merita altro che la stessa leggerezza e naturalezza nell’ascolto.

81/100

(Piero Merola)

9 ottobre 2013