Rock Painter – Intervista a Marco Cazzato

Il suo intimismo da fiaba diventa copertina: Marco Cazzato è il “rock painter” della scena alternativa.

Dopo le collaborazioni con Le luci della centrale elettrica e Marlene Kuntz qualcuno già ti definisce il nuovo Storm Thorgerson nostrano. Come la vedi?
Cazzo! Magari! Ma il paragone mi sembra eccessivo, anche se in effetti sono cresciuto ascoltando i Pink Floyd e ovviamente le loro copertine hanno segnato il mio immaginario. Ormai però è troppo tardi per fargliene una.

È un caso che tu ti sia trovato in questo ruolo di “rock painter”? Com’è nata la cosa?
In entrambi i casi con un’amicizia. Con Vasco (Le luci) Brondi siamo stati invitati a una serata-intervista doppia, e ci siamo scoperti affini, grazie anche alla nostra comune bibita preferita (Coca&rum). Da lì, oltre a diverse serate sbevazzanti, è nata anche la collaborazione: lui ha scritto l’introduzione al mio catalogo e io gli ho fatto la coperta. Con i Marlene siamo vicini di casa.

Come trasformi le note in pennellate?
Ho un microonde difettoso nel quale metto cd e criceti: ne escono illustrazioni. Se invece ci metto solo criceti, posso farli viaggiare nel tempo… Vuoi riformulare la domanda?

Ehm… Ci sono generi musicali che ti ispirano di più?
Beh, ascolto un po’ di tutto. Vorrei fare la copertina a un disco di Tom Waits, ma mi accontenterei anche di un Capossela.

Altro celebre illustratore di cover è stato Andrea Pazienza. Hai collaborato con il Centro a lui intitolato, nonché con Linus: quanto ha influito “Paz” sul tuo essere artista?
Moltissimo, come credo su intere generazioni di disegnatori. In prima liceo (artistico), ho visto per la prima volta un suo libro. Era il 1989 e lui era morto da un anno. Ovviamente andai a cercarmi tutto quello aveva fatto. I miei primi tentativi erano paurosamente influenzati dal suo lavoro, ma con scarsissimi risultati, poi me ne sono distaccato. Ma Paz ogni tanto viene fuori.

Lui aveva l’abilità spregiudicata di disegnare qualsiasi cosa in qualsiasi situazione. A te disturba il fatto di essere “sotto i riflettori” quando sei all’opera?
No, non mi disturba particolarmente disegnare in pubblico. Parlare sì, ma disegnare no: si crea una specie di isolamento dovuto alla concentrazione, e tutto quello che c’è intorno scompare. Anche se ammetto che a Raitunes, in diretta, con due telecamere puntate, ero un po’ in ansia. Ma anche lì, una volta iniziato a disegnare, non ci ho più pensato.

Nelle tue tele si avverte immediato un senso di intimità, di isolamento. Qualè il tuo rapporto con il quotidiano?
Vivo in una casa isolata in campagna. E questo forse influenza il mio modo di vedere le cose, diciamo, con un certo distacco. Mi sento sempre come un osservatore che non prende parte al gioco. Questo mi permette di vederne il meccanismo e, di conseguenza, di poterlo rappresentare, decidere di recitare la mia parte o di mettere un sasso negli ingranaggi e farlo sbandare… Un sasso, o delle giraffe nel lavandino, se preferite.

Sappiamo della tua vita in campagna, dei gatti e del “cane fesso”. Scelta o inevitabile conseguenza?
Come dicevo, probabilmente, inevitabile conseguenza: la vita in campagna. Il cane fesso mi è capitato.
Dopodiché, ho spesso bisogno di immergermi nella realtà di una città, ma sempre con gli abiti che puzzano di stufa a legna.

Sul tuo facebook hai messo in palio un tostapane per la miglior foto fessa con la tua raccolta di tavole “Mood”. Riconoscenza o paraculismo?
Ovviamente paraculismo, ma con una sconfinata riconoscenza per tutti quelli che hanno partecipato. Il tostapane è ancora in palio, quindi, affrettatevi!

Cosa ci salverà: la tenerezza, la rabbia o l’astuzia?
La bellezza. Oppure Batman, ma la vedo dura in entrambi i casi.

Thanks.

(David Capone)

www.marcocazzato.it

27 gennaio 2012

1 Comment

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *