NEIL YOUNG, “Le Noise” (Reprise, 2010)

“Il giorno in cui Neil Young deciderà di non prendere più rischi sarà il giorno in cui perderò tutta la fiducia nella vita”. Questa frase, scritta da un fan a commento del video di “Angry World” su Youtube, racconta l’essenza del rocker canadese, e del suo ultimo album, meglio di qualsiasi recensione.
Neil Young, 65 anni il prossimo 12 novembre, dopo 45 anni nel music business passati a registrare senza sovraincisioni e praticamente senza un produttore, ha deciso di rivolgersi ad uno dei più idolatrati maghi degli studi di registrazione, quel Daniel Lanois reso celebre dalle sonorità create per U2, Bob Dylan, Robbie Robertson e per la collaborazione con Brian Eno. Giusto per complicare di più le cose, Young ha chiesto a Lanois di produrre un album composto esclusivamente da voce e chitarra elettrica, registrate per di più in diretta, senza alcun overdub.
Il risultato è “Le Noise”, disco dal titolo imbarazzante (il gioco di parole con il nome del produttore poteva francamente esserci risparmiato), ma dal contenuto strepitoso. Non tanto per la qualità dei pezzi (alcuni molto interessanti, ma non all’altezza delle cose migliori del canadese), quanto per il concept alla base dell’operazione. Young riesce a rimanere se stesso pur mettendosi nelle mani di un produttore molto invadente (in questo caso persino nel titolo dell’album) ma che dimostra tutta la sua intelligenza. Daniel Lanois avrebbe potuto regalarci un Neil Young stravolto, piegato a sonorità magari fiche, ma che non c’entrano nulla con la storia e la filosofia del rocker canadese, che avrebbe finito per sembrare come uno di quei redkneck con addosso il vestito delle grandi occasioni, ereditato da un parente di tre o quattro taglie più largo di lui. E invece Lanois si è “limitato” a mettersi a disposizione del disco, prendendo il meglio di Young e estremizzandone le qualità. Operazione davvero chirurgica, visto che Neil lascia da sempre poco spazio a fronzoli e arrangiamenti. Ed ecco che la chitarra distorta ha il tipico marchio di fabbrica del canadese, ma con un timbro diverso, nuovo. Ed ecco che la voce del rocker non è mai stata così sofferta, così vera, così vibrante. E gli otto brani, pur suonando in alcuni passaggi un po’ di maniera, in altri vagamente già sentiti, finiscono per ottenere una forza enorme dalla… nudità sartoriale di un album che è sicuramente il migliore di Young dai tempi di “Mirror Ball” (1995).

(Giampaolo Corradini)
www.giampaolocorradini.it

Collegamenti su Kalporz:
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11 ottobre 2010

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