KEITH JARRETT, “The Köln Concert” (Ecm, 1975)

keith-jarrett-the-koln-concertUna lettera mai inviata.

Quest’opera te la devo spiegare, è un regalo per il tuo compleanno: non certo il solito Ciddì senza arte né parte che uno compra per emendarsi da un debito d’onore, ma una cosa molto pensata, da me.

Niente astruserie sinfonico-jazzistiche, che io – abitante a Trafalmadore – non riesco a comprendere, ma un ometto e il suo pianoforte, soli in una sala da concerto sorda e muta.

La data, come vedi, è il 24 gennaio 1975, quando tu avevi appena 2 mesi e mezzo.

Beh, insomma, c’è sto tizio che assomiglia a uno dei Jackson Five che si presenta nell’austera Konzerthalle di Colonia, e fa una cosa che, da lì all’eternità, potrebbe essere ricordata come “l’invenzione della bellezza”. Invenzione perché il Jarrett va senza sapere cosa suonare (tranne un pasticciato canovaccio di suggestioni sfuse), si siede, aspetta che la melodia lo afferri e, semplicemente, coglie il refolo di note che gli passa per la testa. Quello che gli passa per la testa è lo scroscio di note più malinconiche, delicate e taglienti che io abbia mai sentito.

Sono quattro tracce incredibili che mi hanno sempre fatto venire una sorte di febbricitante stupore e che per me hanno sempre avuto il profumo dei fiori e dell’erba bagnata.

Dei fiori e dell’erba bagnata, sì, perché mentre meditavo i pensieri più orribili e obliqui della mia vita, e sentivo la pioggia battente in giardino bagnare le tende delle finestre aperte, stavo ascoltando quella musica. E sentivo sciogliersi la mia tensione, lentamente ma dolcemente, assieme alla musica.

Puoi cominciare, se vuoi, dalla traccia 4, che è la più intuitiva, con una linea melodica fortissima, puoi farlo mentre curi il tuo giardino notturno, o mentre distilli i tuoi profumi (se li distilli ancora) o mentre fai da mangiare con lo scolapasta in testa, non so.

La traccia 1. l’avrai sentita se hai visto “Caro Diario” di Nanni Moretti. E’ l’episodio in cui lui gira per una Roma agostana deserta, e poi corre con il Vespino fino ad Ostia, a vedere il monumento, ormai diroccato, dove Pinuccio La Rana ammazzò Pierpaolo Pasolini a bastonate.

La traccia 3 è la più malinconica, ma non indulge mai alla tristezza, anzi, ad un certo punto (come nella 1), la tensione si scioglie ed è come sentire la pioggia estiva che lava via il bruciore di una dolorosa ferita (provocata dalla liscivia, come in Fight Club!).

La traccia due è la più dinamica e “nera”, se ho ben capito cos’è il mood nero per la musica, quasi danzabile con un bel waltzer, con brevi stilettate di note più acute del tema principale. Potresti per un attimo distrarti, ma solo per preparare un cocktail per gli amici che vengono a cena. Anche se io lo preferisco ascoltare tutto a luce spenta, perché vista e tatto non mi tolgano il contatto con la musica.

Spesso potrai sentire Jarrett gemere durante il concerto, cose tipo “uuuhh”, grida acute, alcuni pensano all’estasi della composizione, io penso al dolore pensato che si stava trasformando in suoni, al suo liberarsi l’anima in un effluvio di note amiche e rampicanti. Jarrett non suona, parla, nel concerto di Koln.

Si sente chiaramente il rumore dei pedali… e la voce… come nei concerti di Glenn Gould, una sorta di Galilei dell’esecuzione pianistica classica. Un tizio strano, quel Gould, che viveva vicino al circolo polare artico, dove aveva la sua sala di registrazione, dove prendeva anche un centinaio di takes diversi da analizzare. Beh, sai, se Gould è il poeta dello spazio plumbeo, o meglio del non vedere per troppo vedere, del bianco abbacinante dei ghiacci, e quindi dell’annichilimento o della  perfezione della fine, Jarrett – in quest’opera – è un riccioluto Orfeo nero che incanta uomini e cose al suo magico strumento, soggiogandoli ma mai prostrandoli.

Ci porta alle lacrime, lacrime per bellezza, e ci conduce nel giardino notturno dei nostri pensieri sull’esserci, sul soffrire, sulla redenzione, sull’amore.

Forse quello che ti scrivo ora è incomprensibile, ma dopo averlo ascoltato, questo pezzo di cielo letteralmente caduto in terra, capirai molte cose.

Esserci nel mondo e accettare anche le offese di “un’oltraggiosa fortuna”, e non liberarsi mai di questo esserci, di questo viluppo mortale di cui la carne erede… E’ la mia risposta definitiva, sig. Amleto!

Ah, a un certo punto, si sente chiaramente un colpo di tosse. Si narra che Jarrett non battesse ciglio, al tempo non era solito interrompere i concerti per il volo di una libellula intrufolatasi in sala.

Beh, dicevo, io vorrei essere quel colpo di tosse, il colpo di tosse più famoso nella storia della musica moderna, ci stava quasi bene.

L’importante è finire: vorrei che lo ascoltassi questo disco, certo, per capire un po’ di me, ma anche per uscire trasfigurata come da certe case degli specchi, da bambini, quando papà ti aspettava fuori, e tu eri estasiata, almeno lo immagino, per le tue innumerevoli trasmutazioni.

La vita è stata una meravigliosa occasione. Anche questo piccolo cd ECM lo è. Lo consiglio a cani e porci.

Ma ho già detto tutto, anzi troppo.

Spero che ti piaccia. E’ una cosa molto bella e delicata, come te.

 

Un abbraccio.

 

Matteo

(Matteo Marconi)