FISHERSPOONER, Entertainment (Lo Recordings / Audioglobe, 2009)

Eccola là, siamo alle solite. Datemi una DeLorian e sono pronto per un memorabile ritorno al futuro.
Ma procediamo con ordine.
Avevamo appena messo piede nel nuovo millennio e la club culture degli anni Zero stava conoscendo l’esplosione dell’elettroclash quale recupero postmoderno della plasticosa sensibilità eighties in glamouroso scontro con l’elettronica campy di Moroder, le reminiscenze disco, l’electro virata new wave in zona New Order/Gary Numan/Human League, quello svolazzare di synth dopotutto così caro a chi – sottoscritto compreso – è cresciuto appunto negli sfavillanti e controversi ’80. E’ una scena che gioca con l’immaginario pop, che flirta con lo sfarzo e con l’eccesso, che s’imbastardisce di prospettive punk, che usa sapientemente l’immagine per dar vita a una sorta di teatro musicale divertito ed esibizionista. Una scena che vede la tedesca Gigolo di Dj Hell al centro dell’hype e che partorisce il suo inno definitivo col singolo “Emerge”, proprio dei Fischerspooner, a far saltare il banco con quel contratto milionario che la Ministry of Sound di lì a poco farà sfilare sotto gli occhi compiaciuti dei due newyorchesi.

Il fatto è che oggi, in fondo al frigo, troviamo un disco che – se non proprio andato a male – ha perso quantomeno ogni proprietà nutritiva, un prodotto che a malapena riesce a solleticare il palato, che lascia per lo più indifferenti le nostre bramose papille gustative riservando loro solo il gusto amaro di un qualcosa che alla lunga potrebbe solamente nauseare.

Ed è tutto dire se al primo assaggio troviamo Notwist e Faint che si danno appuntamento in balera (la synth-balzellante “The Best Revenge”), se la pallida “Money Can’t Dance” ha un piede negli show room (dummies) dei Kraftwerk e uno nel repertorio dei Pet Shop Boys, e se “In a Modern World” inizia nostalgica in italo disco per perdersi subito dentro un Duran Duran fuori tempo massimo. Non elettrizza e non innova granché neanche “We Are Eletric”, ci mancherebbe, ma almeno ha buona presa nel ritornello, allora qualcosa meglio fa la doppietta a seguire dove un electro-pop in Tiga-style riesce finalmente a farci smuovere il culo (“Supply & Demand”) mentre “Amuse Bouche” porta alla memoria certe acide narcolessie Add N to (X) nell’andamento pigro e vagamente psichedelico. Poi nuovamente baldanzosi disco-funk breaks ai limiti dell’urticante – perché “Infidels of the World Unite” non troverebbe spazio neanche nella programmazione di Deejay Television – e ancora velletari ripescaggi wave (l’epicità Depeche Mode di “Door Train Home”), fino a episodi che francamente stenteremmo a immaginare anche solo come semplici riempitivi (il francese improbabile dell’improbabile “Danse En France”).

Come trovarsi nel bel mezzo dello sbattimento senza aver voglia di ballare, nella vana attesa di quell’Entertainment che ci era stato promesso sin dall’inizio. Confesso che quando arrivo all’ultimo brano sono già da tempo alla disperata ricerca di un Doc qualsiasi disposto a riportarmi nell’anno 2009.

Per carità, tutto il rispetto immaginabile per l’onesto percorso artistico della ditta Fischer & Spooner; ma sappiate che se parlo di disco prescindibile sto chiaramente ricorrendo a un eufemismo.

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