NEIL YOUNG, Fork In The Road (Reprise, 2009)

“Just singing a song won’t change the world”: Neil Young la pensa così da quando, per realizzare un documentario, ha rimesso mano al materiale video di CSN&Y nel loro periodo di metà settanta…”those were the days”! Ma non credere più di poter cambiare il mondo, a quanto pare, non è una scusa per dispensarsi dal commentarne le sbandate: dal 2005 ad oggi, mettendo nel conto anche la riapertura degli archivi storici, il patròn dei cantautori canadesi macina dischi con una media di un’uscita e mezzo all’anno. Un ritmo che lo allontana di parecchie lunghezze dalle cadenze decennali di molti coetanei e che in più gli consente di restare sempre “sul pezzo”: gli attentati dell’11 settembre su “Prairie Wind”, l’inizio della guerra in Iraq in “Living with War” e naturalmente la grande crisi finanziaria che spunta fuori dagli spigoli più polemici di quest’ultimo, attualissimo “Fork in the Road” .Ogni album una prima pagina, lo Young del 21° secolo vanta un tiro da cronista e pare quasi una versione del cantautore anni ‘70 aggiornata secondo le tempistiche dei nuovi media. Più che un songwriter, quindi, quasi un “songblogger”, lo canta anche nel singolo che dà il titolo all’album (“keep on bloggin’/ ’til the power goes out”…evvai di controcultura!).

Essendo stato registrato tra le tappe dell’ultima tournee, “Fork in the Road” si trova a metà strada fra il classico disco “on the road” e l’altrettanto classico concept politico: un po’ diario di bordo, un po’ raccolta di corsivi giornalistici, comunque sia perennemente in corsa per raggiungere qualche posto o per arrivare puntuali sul luogo del reato. Per Young il tempo possiede ancora quella pressione incalzante che aveva ad inizio carriera quando, appena 24enne, già empatizzava con l’“Old Man” della sua ballata. Ma ora che, a dispetto delle sue generalità, il “vecchio uomo” è diventato lui, opta per una versione 2.0 di se stesso che lo riporti ad esser mediaticamente giovane, produttivamente iperattivo, più prosaico e sbrigativo con i testi e con il corredo di una manciata di videoclip lo-fi che sembrano fatti apposta per affollare il canale di Youtube.
Sul versante musicale i tempi stretti e la naturale disillusione verso le capacità rivoluzionarie della musica portano inevitabilmente a qualche indulgenza in più: volendo iddio, “Fork in the road” non replica le smargiassate con fiati sfoggiate da “Chrome Dreams II” un paio di anni orsono, ma in compenso annovera lo pseudorap di “Cough on the Bucks” che ha comunque già un posto d’onore assicurato fra i suoi peggiori peccati veniali.

Meglio prenderla alla leggera, come un divertissment da parte di una compagine di ottimi musicisti che non hanno più nulla da dimostrare a nessuno e, proprio perché hanno imparato che il mondo non si può cambiare con una canzone, si concedono finalmente un po’ di sano cazzeggio. Certo, così manca la scrittura che si faccia ricordare (anche se quella “Candle in the Light”, unico episodio acustico, non sfigurerebbe in bocca all’ultimo Springsteen…), ma chiedere qualcosa di più a chi ha già tanto segnato la storia della musica pare quasi maleducazione…se però fosse lecito bisbigliare consigli alle orecchie dei giganti avremmo un solo suggerimento: stare meno ossessivamente dietro ai tempi che corrono e prendersi invece un po’ più di tempo per se stessi. L’ozio e la lentezza non sono solo lussi da rockstar milionarie, ma anche unguenti benefici che hanno già rimesso in forze più di una discografia.

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